Memorie tonaresi in pratza manna

lunedì 18 aprile 2022

Tonara. Le dimore di Lorenzo Zucca

 

Tonara

Le dimore di Lorenzo Zucca nell’Ottocento

   È da diversi anni che non faccio più tappa a Camminu mannu, l’arteria di maggior prestigio della contrada di Catzolaghedu, nel rione di Toneri a Tonara.

   Camminu mannu sta per Via Grande, accezione quest’ultima utilizzata, nel 1891, nella stesura dell’atto di morte di Lorenzo Zucca, personaggio di spicco nella improvvisazione di composizioni dialettali.

   In detto documento, è certificato che a ore pomeridiane  sette e minuti trenta di ieri (12 marzo), nella casa posta in Via Grande, al numero 11, è morto Zucca Lorenzo, di anni 72, torronajo, residente in Tonara, nato in Tonara, del fu Antonio, già pastore, domiciliato in vita in Tonara, e della fu Carneri Rosa, già massaia, domiciliata in vita in Tonara, vedovo di Cabras Francesca. (1)

   Ricevo conferma da Giovanna Carboni, domiciliata in gioventù nella contrada di Craccalasi, quartiere confinante con Catzolaghedu, che la via segnalata dall’ufficiale di stato civile nell’atto di morte dello Zucca non può essere che la variante italiana di Camminu mannu. Detto tracciato è compreso nell’intervallo che ha per estremi l’ex osteria dei Floris e il canale di scolo di Craccalasi, una condotta idrica che nei periodi invernali raccoglie le acque delle risorgive poste a monte del rione di Toneri.

   L’aggettivo grande della nostra via vale unicamente per qualificare un percorso che, in lunghezza, non supera i settanta metri, fiancheggiati a destra, lungo la direzione est-ovest, da costruzioni a schiera addossate sullo schienale della montagna ed a sinistra da poche abitazioni intervallate da un basso muro di recinzione. Oltre questa protezione, un panorama da trenta e lode funge da bomboniera di riguardo alle attenzioni dell’osservatore. A destra i contrafforti di Su Toni che sorreggono l’altopiano illuminato d’oro, secondo la definizione servita dal Lawrence durante il suo passaggio a Tonara, a sinistra ed in fondo la grande vallata che fa da contraltare a montagne che svettano oltre i 1500 metri.

   Oggi sono veramente pochi i residenti che popolano questa via Caracciolo di Catzolaghedu. I cognomi prevalenti nel decennio che porta dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta erano quelli dei Floris, dei Loche e dei Pruneddu. Questo per la mia memoria.

  Oggi Il padrone incontrastato dell’insieme è il tempo che funge da variabile casuale intorno agli eventi atmosferici che immancabilmente si verificano nelle varie stagioni e che fanno riferimento a freddi intensi invernali, a tepori primaverili ed a distensive ed appaganti calure estive.

  E portiamoci all’Ottocento, al periodo in cui Lorenzo Zucca si sentiva onorato di far parte della comunità di Camminu mannu .

   Stando al censimento del rione di Toneri, curato nel 1829 dal viceparroco tonarese Domenico Martini, si può rilevare, nella contrada di Catzolaghedu, la seguente composizione familiare (2):

   Antonio Zuca, marito, di anni 57

Rosa Carneri, moglie, di anni 49,

Angela, figlia, di anni 16

Sebastiano, figlio, di anni 14

Lorenzo, figlio, di anni 11 e

Raimondo, figlio di anni 4.

   Si presume che il giovane Lorenzo abbia vissuto nella casa paterna sino al 1843, anno del suo matrimonio con Francesca Cabra Carta del rione di Ilalà, frazione nella quale ha eletto il suo nuovo domicilio.

   Qui di seguito riportiamo le documentazioni relative alla singolare anteprima nuziale ed alla successiva cerimonia.

   Primo atto:

   Gli sposi Lorenzo Zucca Carneri, e Francesca Cabras Carta sono stati confessati e comunicati questa mattina.

   Non si è fatta nessuna pubblicata, mentre non hanno ancora impetrata la cartella matrimoniale.

   Non sono ancora esaminati nella Dottrina Cristiana, ma il sottoscritto è ben persuaso che la sanno.

R(ettore) Pruneddu

   Dalla Chiesa parrocchiale addi 12 luglio 1843.

Secondo atto

   Addi dodici Luglio millaottocento quarantatre Tonara.

   Dispensati li tre prescritti proclami, e non essendo risultato alcun legitimo impedimento, lo stesso Ill(ustrissi)mo R(everendissi)mo Monsignor Arcivescovo Don Giovanni Saba nel corso della sua visita Pastorale ha interrogato Lorenzo Zucca Carneri di questo Villaggio e Parrocchia figlio dei giugali del fù Antonio e della superstite vedova Rosa e Francesca Cabras Carta figlia dei giugali del fu Giovanni, e della superstite vedova Francesca Rosa; ed avuto il loro mutuo consenso, ha assistito al matrimonio che hanno celebrato in casa per verba de praesenti, presenti per testi di questo matrimonio il Notaio Francesco Poddighi Floris Cancelliere della Curia Ecclesiastica d’Oristano, e Francesco Piga Zucca Sacrista di questo stesso Villaggio, e Parrocchia essendo stata differita ad altra occasione la benedizione nuziale. Del che

In fede

Rett(or)e Giovanni Pruneddu

   Si presume che il matrimonio sia avvenuto a Toneri e non ad Ilalà. Non si conoscono i motivi del ricorso a detta forma inusuale di contratto. 

   Il censimento di Ilalà del 1845 ci consegna per la famiglia Zucca i seguenti dati:

   Lorenzo Zucca, marito, di anni 26,

Francesca Cabras Carta, moglie, di anni 20

Antonio, figlio, di anni 1

Francesca Rosa Carta, suocera (vedova), di anni 50

mentre

   le risultanze del 1856 precisano quanto segue:

   Lorenzo Zucca, marito, di anni 35,

Francesca Cabras Carta, moglie, di anni 35 (sic!),

Antonio Zucca, figlia, di anni 6 (sic!)

Rosa Zucca, figlia, di anni 1         (Nota n°3)

 

(1)    Dal documento in esame apprendiamo della professione di torronaio dello Zucca, certamente uno dei primi ad esercitare questo mestiere, e della firma apposta nell’atto dall’ assessore anziano Angelo Gessa, nelle vesti di sostituto dell’ufficiale di Stato civile del comune di Tonara.

(2)    Preciso di aver già pubblicato nel novembre del 2013, nel servizio dedicato a tiu Pé dal titolo Una contrada, un casato, una poesia, le rappresentazioni familiari di Lorenzo Zucca relativamente agli anni 1829, 1845 e 1856. Avevo anche precisato che le mie ricerche su detto personaggio, rimaste infruttuose a partire da tale ultima data, avrebbero potuto trovare una valida soluzione facendo ricorso ad altre fonti diverse da quelle da me compulsate. Ed è successo che altri studiosi, tra i quali l’avvocato Gabriele Casula, siano riusciti a colmare una lacuna della mia ricerca: la data del decesso del nostro cantore. Gli estremi di questa notifica sono segnalati nell’atto di morte, redatto dall’ufficiale di stato civile di Tonara e successivamente trasmesso al Tribunale di Cagliari. Vedi voce Search Family.

(3)   Sento ora il dovere, a chiusura di questo mio breve servizio sul cantore di Ilalà, di precisare ai lettori che i fascicoli di censimento del 1856, da me consegnati all’archivio storico di Oristano, alla biblioteca comunale ed alla parrocchia di Tonara, riportano delle inesattezze nella definizione dell’ultima pagina. Questo, a causa di una mia erronea impostazione del database sui componenti della comunità di Ilalà. Valide invece le trascrizioni effettuate dalle copie originali.  

 

lunedì 11 aprile 2022

Il casato dei Gessa

 

Il casato di Gessa

  L’ingresso del casato dei Gessa nel panorama umano tonarese viene sancito nel 1821 dal matrimonio di un aritzese con una tonarese. In tale atto, la cui stesura è stata vergata, il giorno diciannove di agosto, dal viceparroco Pietro Angelo Dearca, è documentato quanto segue:

   Io qui sottoscritto attesto, e fo fede, qualmente avendo prima steso sentimento dei contraenti e fatti i soliti proclami in tre giorni festivi interpolati e non avendo risultato impedimento alcuno canonico, ed avendoli trovati instruiti nella dottrina cristiana ed avendoli confessati, ed eseguito esattamente il prescripto del Sacro Concilio Tridentino col permesso dell’Illustrissimo Molto Reverendo Vicario Generale dato ad Oristano li 13 luglio 1821 assistì al matrimonio che per verba de praesenti contrassero le persone Luigi Gessa del Villaggio d’Arizzo, e Raimonda Dessì, ambi di statto libero, presenti per testi Angelo Porru, e Pietro Boe Sacristi, e nel medesimo giorno presero la benedizione nuziale:

   In quorum fidem

Pietro Angelo Dearca Vice Parroco.

   Nella parte sinistra di detta certificazione, che risulta inserita nel registro parrocchiale dei matrimoni tonaresi, libro ora depositato presso l’archivio storico diocesano di Oristano, sono segnalati più compiutamente gli estremi anagrafici della coppia. Si riferisce che lo sposo è figlio di Sebastiano e Rosalia Cocco del villaggio di Aritzo mentre la sposa è figlia di Angelo e Maria Cappeddu entrambi di Tonara.

   Dalle segnalazioni riportate nei censimenti parrocchiali degli anni 1829, 1845 e 1856, meglio definiti Stati delle anime, possiamo avere un quadro ben preciso della vita vissuta in comune nel tempo dai due sposi.

   Dal registro del 1829 apprendiamo che la famiglia Gessa, con domicilio nel vicinato di Arasulè, nella contrada denominata Muraghedi (sic), è contrassegnata dal numero 114 e che il percorso effettuato dai rilevatori ha interessato il seguente tracciato: Su Fossu (con il numero 1 assegnato al nucleo familiare del signor Pietro Zucca Pisano) -Funtana Idda – Lasina - Su Tzurru - Muraghedi - Santa Maria - Su Montigu - Su Forreddu (il numero di riferimento per il parroco Antonio Medda è il 214) – S’Arcu (l’odierna Istraccu) – Sa Caladorgia e Carighedi (sic) ( con il numero 322 per la famiglia del signor Giuseppe Mameli Zucca).

 

 Per l’anno 1829 

i componenti che fanno capo alla famiglia Gessa sono:

Luigi, marito, di anni 36

Raimonda Dessì, moglie, di anni 35

Rosalia, figlia, di anni 7

Maria, di anni 4

Sebastiano di anni 1 e

Marianna Dessì, cognata, di anni 20.

Le età sono spesso inesatte. Per avere la loro giusta identificazione occorrerebbe rifarsi alla documentazione dei restanti Quinque libri, in particolare del registro dei battezzati.

 

Per l’anno 1845

Il casato dei Gessa è rappresentato dalle famiglie numero 298 e 302. Nella prima si fa riferimento al ceppo originario mentre nella seconda il cognome in oggetto riguarda unicamente la consorte del signor Tomaso Sau Carboni. Preciso che gli addetti alle operazioni di censimento non hanno fatto alcuna menzione dei quartieri interessati alla frazione superiore del paese. La famiglia indicata con il numero 1 fa riferimento all’abitazione del parroco Giovanni Pruneddu in Su Montigu.

   Per il primo nucleo abbiamo

Luigi Gessa, marito, di anni 56

Raimonda Dessì, moglie, di anni 50

Maria, figlia, di anni 19

Antonio, figlio, di anni 15

Nicolò, figlio, di anni 10

Angelo, figlio, di anni 7 e

Marianna Dessì, cognata, di anni 41.

   Per il secondo nucleo si segnalano

Tomaso Sau Carboni, marito, di anni 31

Rosalia Gessa, moglie, di anni 24

Giovanna, figlia, di anni 4

Pietro, figlio, di anni 0

Giovanna Carboni, madre, di anni 61.

 

   Per l’anno 1856

Il cognome Gessa è rappresentato in quattro famiglie con i numeri 39, 58, 59 e 98. Il rione interessato a detti nuclei è sempre quello di Arasulè.

   Al numero 39 fanno capo

Tomaso Sau Carboni, marito, di anni 42

Rosalia Gessa, moglie, di anni 36

Giovanna, figlia, di anni 14

Pietro, figlio, di anni 12

Sebastiana, figlia, di anni 8

Giuseppa, figlia, di anni 5 e

Giuseppe, figlio, di anni 2.

   Al numero 58

Luigi Gessa, marito, di anni 65

Raimonda Dessì, moglie, di anni 67

Nicolò, figlio, di anni 22 e

Angelo, figlio, di anni 19.

 

   Al numero 59 corrispondono i nominativi di

Giovanni Vargiu, marito, di anni 35 e

Maria Gessa, moglie, di anni 30

 

   Del numero 98 fanno parte

Antonio Gessa, marito, di anni 26

Maria Antonia Cabras, moglie, di anni 30 e

Raffaela, figlia, di anni (non segnalati)

   L’itinerario seguito dai rilevatori ha come punto di partenza l’abitazione del parroco Giovanni Pruneddu in Su Montigu.

   Per avere notizie più approfondite sul casato dei Gessa, per il periodo successivo al 1856, bisognerà rifarsi alle documentazioni esistenti presso gli archivi parrocchiali e comunali di Tonara.

   Una ultima precisazione: Al giorno d’oggi, a distanza di duecento anni dall’ingresso in paese di detta nota famiglia, non vi è alcun residente col cognome più volte citato. L’albero genealogico, secondo la testimonianza di Bastiano Loche, ha perso tutte le sue fronde.

Notizie postume all’anno1856

   Il materiale da me raccolto dopo l’anno 1856, molto frammentario e riduttivo, è definito nei seguenti lavori che, a suo tempo, ho consegnato al Comune di Tonara.

   Questi i titoli:

a)      Storia dell’economia tonarese dal 1888 al 1963

b)      Tonara nel suo recente passato (Si tratta di una rielaborazione della versione precedente)

c)       Tonara. Una finestra sugli anni Quaranta.

   Riepilogo brevemente quanto, in particolare, è riportato nei volumi b) e c)

   A pagina 70 del secondo testo (volume b) riferisco, nel paragrafo dedicato all’industria del legname, quanto mi ha segnalato mio zio Nanneddu Pala. Questo il primo passaggio:

   Nel primo ventennio del secolo i più accreditati operatori di tale settore rispondono ai nomi di Carlo Gessa, Antonio Gessa, Giovanni Pruneddu, e Battista Porru. A questi seguiranno, dopo gli anni Venti, Peppino Sulis, Giuseppeddu Sau, Nanneddu Pala e Manfredi Gessa.

   A pagina 71, in un secondo passaggio, per il decennio che corre dagli anni Venti agli anni Trenta, si hanno notizie non solo su detti imprenditori ma anche sulle forze impiegate:

a)      Manfredi Gessa (80 dipendenti di cui 15 coppie di segantini, 20 carbonai e 30 tagliatori di legna

b)      Antonio Gessa (30 dipendenti)

c)      Sau Sau (25 dipendenti)

d)      Giovanni Pala (20 dipendenti)

e)      Peppino Sulis (20 dipendenti)

   A pagina 150, nella relazione finale stesa dall’insegnante elementare Vittoria Nurra per l’annata scolastica 1902-1903, è riportato il visto del sindaco Carlo Gessa. E’ il padre di Antonio, il futuro avvocato.

   A pagina 166, nell’annata scolastica 1887-1888, si fa riferimento a Michele Gessa, classe 1880, figlio di Angelo. Detto genitore, con dimora in via Eleonora n°33, è definito con la qualifica di proprietario.

   Nel Censimento dei fanciulli tonaresi obbligati alla frequenza scolastica è segnalata la presenza di Raimondo Gessa, classe 1886, figlio di Sebastiano, di professione viandante. La documentazione, certificata dal segretario comunale Raffaello Pulyx, è datata 28 febbraio 1895.

   Nell’annata scolastica 1902-1903 si fa cenno alla figura di un negoziante di cognome Gessa (E’ la pagina 184).

   Detto cognome è definito con la qualifica di segantino nei registri scolastici degli anni 1921 e 1925 (pag. 198 del secondo tomo).

   Nelle ultime pagine del testo sono riportati gli estremi anagrafici del segretario comunale Giuseppe Gessa (1906-1992). Antonio e Sebastiana Sau per genitori.

   Alla pagina 12 del volume dal titolo Una finestra sugli anni Quaranta, sono citati i nominativi dei fratelli Antonietta e Gesuino Gessa, entrambi della classe 1929 e figli di Michele, di professione segantino, e Celestina Patta. Il loro domicilio è in Arasulè. Preciso che il lungo elenco degli iscritti all’annata scolastica 1940-1941 annovera 455 unità.

   Una ultima e doverosa annotazione. Contrariamente a quanto precisato alla fine del primo servizio, intorno alla presunta mancanza di rappresentanti di detto casato a Tonara, devo significare che rispondono al contrappello i signori Bruno e Maria Gessa. Grazie a loro, il traguardo dei duecento anni è stato raggiunto. Complimenti e lunga vita ai detentori del titolo.


giovedì 7 aprile 2022

Il vento

 

Il vento

 

   La visita odierna mi permette di soddisfare curiosità che in passato avevo sempre trascurato di prendere in considerazione. Grazie all’invito rivoltomi dall’associazione Cinquanta e più di Oristano mi è possibile colmare certi vuoti della mia conoscenza ancora inappagati.

   La visita mattutina alle saline di Cagliari e quella pomeridiana alla cantina di Su Entu di Sanluri formano il piatto forte della giornata, non solo per me ma anche per il folto gruppo di cui faccio parte.

   Il vento non fa parte oggi del menù proposto dagli organizzatori, ma rientra come artefice principale nel gioco delle forze che regolano la vita delle saline e dei vigneti o meglio della produzione del sale e del vino. Sale da un lato, nelle vesti di cloruro di sodio, e vino dall’altra, con l’etichetta di alcol etilico.  

   Le guide delegate al racconto della storia, della gestione e degli scenari che vanno ad interessare le produzioni in oggetto, non mancheranno. Per scenari intendo riferirmi tanto ai luoghi chiusi quanto a quelli aperti. Per i primi vengono presi in rassegna i locali che accolgono le immobilizzazioni tecniche del passato e dell’oggi mentre per i secondi le vaste estensioni dedicate alle coltivazioni che, con un pizzico di sale e il sorso di un buon bicchiere di vino, favoriscono la bontà delle nostre pietanze e libagioni.

   Spazi immensi per le saline, si parla di qualche migliaio di ettari, e spazi più ridotti per la cantina-vigneto in programma ma confortati, questi ultimi, da un panorama mozzafiato che descriverò più avanti e che si colloca tra i più belli della Sardegna.

   La visita al museo interessato alla raccolta delle attrezzature utilizzate nel secolo scorso da meccanici e da operai della salina termina in una mezzora, mentre un tempo maggiore viene dedicato alla presentazione dei locali adibiti ad uffici ed archivi appartenuti al toscano Contivecchi, il fondatore dell’omonima azienda.

   Non manca il presentatore di far cenno, a chiusura della sua relazione, a molti dei sottoprodotti ottenuti durante le varie fasi di decantazione dell’acqua salmastra. Mi ha sorpreso tra questi il solfato di calcio, un sale che favorisce la produzione del cartongesso, un materiale utilizzato come coibente nell’edilizia e che viene posto in commercio con il nome di gillite, lemma derivante dal compartimento di Santa Gilla. Continua la nostra guida affermando che la decantazione di un sale è favorita dalla sua densità e dall’azione del vento, il vento di maestrale. In sua assenza le evaporazioni sono nulle. E il vento ha la sua ragion d’essere anche nei terreni dedicati ai vigneti che visiteremo di pomeriggio e che fanno capo alla cantina denominata Su’entu.

   La seconda guida ha il compito di favorirci, con un trenino a ruote gommate, un’escursione nei campi di coltivazione del sale dove è possibile osservare, già da subito, una montagna di oro bianco e tantissimi fenicotteri dal piumaggio tendente al rosa.  La prima assume la forma delle antiche piramidi egiziane a gradoni mentre i secondi assomigliano a delle mondine che in campo aperto ripuliscono le risaie. Sono meravigliato dalla loro compostezza e portamento. Mi stupisce come riescano a librarsi in volo con tutto il loro peso per poi mantenere a lungo assetti aerei da abili crocieristi. Riferisce il nostro autista e cronista che questi uccelli, per la ricerca del cibo presente nei bassi fondali, setacciano l’acqua con particolari filtri-colino presenti nel loro becco.

    Oggi è domenica e per gli operai è giorno di riposo. I trenta operai dell’oggi raggiungono, con i moderni mezzi di trasporto, l’equivalente produzione dei millecinquecento operatori del passato. 

   La terza guida, servendosi come sussidio didattico della cartina che riproduce il percorso di queste acque madri, fa spesso riferimento, trattando della decantazione dei liquidi, a contenuti di alto livello culturale. È meritevole di essere ascoltata nel suo intervento ma, con i gradi Baumè e con la definizione dei vari composti chimici con terminazioni in oso, ico, ito, ato ed uro e rispettive formule, alcuni dei partecipanti preferiscono soprassedere. Complimenti in ogni modo ai vari esperti e alla loro disponibilità a dialogare con i partecipanti.

   Ed eccomi ora nei pressi della cantina vigneto di Su Entu in territorio di Sanluri. Per guadagnare l’ingresso al Dominarium, il pullman non deve fare alcuna fatica. Deve percorrere un sentiero in leggera salita e portarsi in poco tempo sul sito più importante dell’azienda: un fabbricato con le pareti esterne modulate elegantemente in pietra a vista di materiale scistoso e con vasti locali interni che accolgono uffici, macchinari, grandi serbatoi in acciaio, botti in rovere, imbottigliatrici e ampie sale di ricevimento per gli ospiti e per le comitive di passaggio.

   La guida è già pronta ad accoglierci e ad illustrarci i vari passaggi aziendali senza escludere qualche notazione di rilievo sulla terra che accoglie il vigneto. In tutto sono cinquanta gli ettari che scivolano sotto i nostri occhi sino alla circonferenza di base di questa collina di forma tronco conica.

   Oltre la recinzione esterna, un ampio panorama, di raggio non superiore ai cinquanta chilometri, permette all’osservatore di cogliere con lo sguardo gli estremi confini di questa cartolina mozzafiato. In direzione di Cagliari, un po' di foschia impedisce di vedere i contorni della Sella del Diavolo; a sud ovest, i monti dell’Iglesiente, che sino a qualche giorno fa erano ammantati di bianco, si presentano con le eterne sinuosità delle loro cime e con le falde dai manti scuri e severi; a nord ovest, in lontananza, si intravvedono i contorni del Marghine e della Planargia mentre a nord est, la Barbagia centrale, arroccata su un Gennargentu in divisa bianca per le abbondanti nevicate primaverili, funge da avamposto di tutto riguardo. Ad est, a pochi chilometri dal nostro punto di ritrovo, si intravvede un piccolo paese: è Furtei. In detto territorio una società australiana progettò, anni addietro, di coltivare l’oro, ma con scarso successo. Ad ovest c’è Sanluri, ma non è visibile, eppure è vicinissimo, appena dietro la collina. Funge da fulcro di questo interessante paesaggio il compartimento denominato Marmilla.

   Le distanze tra i vari dipartimenti segnalati in questo servizio erano coperte, nei secoli scorsi, dai cavalli in giornata. Secondo testimonianze dell’Ottocento, il tempo impiegato da alcuni cavalcanti di Tonara per raggiungere Bosa, cittadina dove venne consacrato vescovo Antonio Tore, loro compaesano, oppure Ales, centro quest’ultimo delegato ad accogliere il presule citato, non superava mai le ore di luce quotidiane. Ed i chilometri da percorrere, con la soma a pieno carico, erano di gran lunga superiori a quelli definiti in linea d’aria. Mi sembra, in questa cartolina da sogno, di rivivere quei passaggi ottocenteschi.

   Intanto il vigneto, ben disteso a trecentosessanta gradi sui vari versanti, dorme su una superficie superiore di sei ettari all’area dello Stato del Vaticano. Mezzo chilometro quadrato, una cifra che ridotta in metri quadri raggiunge quota cinquecentomila. Per trovarti a tuo agio con queste misure e forme geometriche puoi considerare un quadrato di settecento metri di lato.

   Dovrei ora parlare dei vini prodotti e della lora qualità ma non riesco a comunicare al meglio in questo settore. Eppure, quando mi trovavo a Conegliano, cittadina nella quale ho vissuto per quasi un decennio, avevo l’opportunità di visitare tanto i laboratori della scuola enologica quanto le celebri cantine di quel comprensorio. Ho sempre rimandato. In provincia di Torino, invece, ho avuto la possibilità di essere ospitato in una cantina di prestigio dove serbatoi di grande capacità avevano destato impressione e curiosità. Sono ricordi di una quarantina di anni fa.

   La guida, intanto, dopo averci fatto gustare i migliori passaggi del panorama circostante ci proietta all’interno del fabbricato per favorirci quanto di meglio la cantina offra di attrezzatura, di macchinari e di arredamento. Di processi produttivi appena un cenno. Di formule chimiche legate ad ossidrili e gruppi acidi carbossilici nessuna menzione. Meglio di così non poteva andare.

   Immancabili le domande sul materiale impiegato nella costruzione delle botti e sul loro reperimento. Legno di rovere ma di provenienza estera. Al mio paese, in Barbagia, avevo conosciuto un bottaio che, con semplici strumenti e con il fuoco, riusciva ad assemblare nel verso giusto le doghe (is doas) ed i cerchioni di contenimento. E le botti (is cubas) erano rifinite al meglio. Dell’abilità di un artigiano che realizzava piccoli barilotti in castagno di modesta capacità ne posso dare ampia testimonianza facendo ricorso ai ricordi della mia adolescenza.

   Le botti aziendali, di ottima fattura, hanno la possibilità di essere manovrate, senza compiere alcuno sforzo, come quando ci si trova alla guida di una automobile. Questo succede perché ognuna di esse poggia su delle piccole ruote che favoriscono i movimenti e la torsione del recipiente.  Detti contenitori, quasi tutti della stessa capacità, si susseguono in quattro corsie, con distribuzione dei medesimi a tre a tre in ordine di altezza. Risulta facile anche contarli. È sufficiente memorizzare il numero delle botti per corsia e moltiplicare per quattro. Per la guida sono comunque duecentocinquanta.

   In un altro locale fa la sua bella figura l’imbottigliatrice. Non avrei mai immaginato che tale apparecchiatura servisse a tale uso. Gli addetti all’utilizzo di tale macchinario sono in numero di sei e tra questi vi è una prima persona che provvede ad inserire nell’imboccatura la bottiglia vuota ed una seconda a prelevarla piena a fine percorso. Del lavoro svolto dagli altri quattro operai riferirò quando avrò la possibilità di vedere il macchinario in funzione. Il numero di bottiglie, che nel tempo di un ora compie il percorso esatto, è di millequattrocento. Così mi sembra di aver capito.

   Il vigneto in questo periodo dorme, ma produttori, agronomi, enologi, commercialisti ed esperti nei vari settori vigilano attentamente sui prossimi risvegli delle viti e dello spettacolo che verrà offerto dai lunghissimi filari. Sono quasi pronte, invece, le ripartenze degli operatori stagionali. La filiera degli investimenti non abbassa mai la guardia.

   Da Sanluri, cittadina che sta dando lustro in campo economico a personaggi quali Soru e Cellino, e da Su Entu, con i suoi validi imprenditori e collaboratori, un arrivederci a presto.

Pasqua 2022.

Giovanni Mura.

 

venerdì 1 aprile 2022

Grafico di un campanaccio

 Grafico di un campanaccio

   Il vestito che intendo confezionare al sopramobile che mi ritrovo nello scrittoio della mia abitazione è di un formato filiforme infinito da utilizzare solo in misura molto ridotta, appena una ventina di centimetri. 

   Preciso, intanto, che le dimensioni del manufatto in metallo valgono otto, sei e nove centimetri rispettivamente per base inferiore, superiore ed altezza e che la superficie di facciata, trattandosi di un trapezio isoscele, e di centimetri quadrati 63.

   Ciò che mi incuriosisce dello sviluppo grafico è l’andamento che il campanaccio subisce all’interno della sua struttura, un tracciato che nella parte superiore lascia intravedere un percorso sinuoso che per certi versi richiama il dorso di un cammello, con tanto di gobba dalla parte sinistra ed altrettanto dalla parte destra e naturalmente con l’affossamento destinato ad accogliere il battacchio.

   Facendo ricorso alle coordinate di uno dei due punti di pari altezza, del punto di collegamento del gancio battente con il sonaglio e di uno dei due estremi della base inferiore ho potuto definire al meglio il filamento curvilineo. In definitiva, un punto di massimo, un punto di minimo ed un terzo punto estremante sono serviti a risolvere i problemi di impianto primari. Per quelli secondari mi sono affidato agli strumenti che di solito vengono utilizzati in questi studi.

   La curva  a campana, meglio nota con i termini di curva gaussiana o di Gauss, curva normale, curva delle probabilità e curva a cappello di carabiniere per le svariate applicazioni in campo scientifico, medico e biologico in particolare, nulla ha da vedere con la funzione matematica della nostra tracca eccezione fatta per i punti notevoli tratteggiati e per quelli di flesso. Quella opera nei laboratori professionali mentre questa si dà da fare in continuazione in campo aperto per impedire la dispersione dei capi di bestiame dalle loro greggi. 

   L’area sottesa dalla curva a campanaccio è di centimetri quadrati cinquantotto, una  superficie inferiore a quella definita precedentemente ma accettabilissima specie se si tiene conto  degli spazi superiori non considerati dal grafico.

   Per le verifiche degli appassionati a questo tipo di disegni,  segnalo che i coefficienti della funzione biquadratica sono i seguenti: a=-0,067        b= 0,61    e    c= 7,5. 

   Buona lettura. 

Segue grafico.