Carbonia
I pozzi di Serbariu
La velocità di
crociera del pullman che da Oristano indirizza alla città mineraria consente
agevolmente al viaggiatore di cogliere le migliori sfumature e sfaccettature
dei quadri naturalistici proposti da questa stagione primaverile.
Ho sempre ritenuto
che le severe montagne che incorniciano i vari centri del Sulcis Iglesiente
fossero ammantate di colori scuri ma mi sono ricreduto questa mattina
nell’osservarle con tinte inaspettatamente verdi. Viste da vicino non si fa
molta fatica a capire che questo sfarzo cromatico è favorito dalle chiome degli
arbusti della macchia mediterranea.
Costruzioni a
schiera, binate e singole, sembrano richiamare lo sguardo dei viaggiatori ad
una osservazione più attenta delle aree verdi a ridosso delle edificazioni. A
baluardo della loro difesa è segnalata la presenza di stranissime montagne di
forma tronco conica.
Il mezzo si trova
ora nei pressi dell’ingresso della miniera di Serbariu, sito evidenziato a
distanza dalla presenza di due possenti ruote collocate, a ridosso delle
rispettive costruzioni, a circa trenta metri d’altezza.
L’autista, dopo aver
indirizzato il pullman all’interno dell’ampio parcheggio ed invitato i
passeggeri a scendere, resta in attesa che la visita alla miniera si concluda nel
migliore dei modi.
La guida delegata ad
accogliere il gruppo dei visitatori di cui faccio parte è già pronta a fornirci
le prime istruzioni di carattere storico e museale del plesso minerario che fa
capo alla città di Carbonia, centro istituito con R.D.L. il 5 novembre del 1937
ed inaugurato da Mussolini il 18 dicembre del 1938. Fatte queste brevi
precisazioni ci invita ad attraversare l’ampio piazzale che porta ad una delle
due altane gemelle.
Una volta
all’interno del vasto monolocale ci accorgiamo che gli spazi riservati ai
visitatori sono estremamente ridotti e ciò per favorire gli avvitamenti della
puleggia attorno ai rotori dell’imponente macchinario che regola il traino
degli ascensori, in salita ed in discesa, verso il pozzo.
Cerco di capirne di
più accostandomi alla viva voce della guida ma devo accontentarmi di sostare
nelle retrovie in quanto le postazioni migliori sono già occupate da altri.
Peccato! Devo purtroppo affidarmi solamente alla lettura delle mie dirette osservazioni
o alle tardive richieste di chiarimenti verso terzi. Di questo supplemento di
consulenza ne approfitto durante il percorso che porta alla hall della
reception.
Intanto riceviamo
istruzioni sul comportamento da tenere negli approcci con il nostro breve
percorso in miniera. Siamo inquadrati in gruppi di venti e ben equipaggiati di
retina e di elmetto copricapo. Attendiamo il via per i piani sotterranei. Alla
nostra destra si trova il lungo bancone che nei tempi di operatività del pozzo
serviva per favorire la consegna, tra operatori aziendali e minatori, delle
targhette di riconoscimento, delle lampade di acetilene e degli elmetti di
protezione. Gli oggetti di scambio sono ora visibili lungo la parete che corre
sulla bancata. Le fascette metalliche assomigliano tanto ai gessetti utilizzati
nei tirassegni delle feste paesane. Disposte una appresso all’altra per file e
per colonne occupano in verticale uno spazio non superiore ad un foglio di
propaganda elettorale. Sono più di un migliaio.
Per la discesa non si fa uso di gabbie ma di
scale ben distribuite in ampi gradini e diversi piani di riposo.
Le volte diventano
basse e spesso bisogna chinarsi per poter procedere oltre. I percorsi sono mediocremente
illuminati per cui bisogna prestare attenzione alle insidie avanzate dalle
rotaie e dalle berline, ossia i cassonetti atti al trasporto del materiale.
Non si fa alcuna
fatica a capire le condizioni di lavoro dei minatori. Caldo, aria irrespirabile,
rumori, spossatezza, spazi ristretti, situazioni di costante pericolo. Questi
gli ingredienti di un lavoro che dispensava, inoltre, a tutti gli operatori
malattie respiratorie di grosso impatto.
Riferisce la guida
che intorno agli anni Cinquanta vennero impiegati nell’attività estrattiva
poderosi macchinari che favorirono di molto la produttività dell’azienda
statale e resero più razionale e dignitoso il lavoro dell’operaio. Uno di
questi impianti, ben visibili alla nostra destra, sebbene inoperosi, presenta
delle potenti ganasce circolari pronte ad addentare ed a sbancare con decisivi
avanzamenti le pareti di contorno. Il tutto è ben spiegato dalla guida che non
tralascia di scendere nei particolari di alcuni ingranaggi. Sembra molto
soddisfatta delle spiegazioni la ragazza del gruppo di cui faccio parte che
cerca in continuazione di prendere appunti su un taccuino abbastanza assortito.
Penso abbia fatto un particolare riferimento alle condizioni di lavoro dei
minatori. Condizioni pur sempre improponibili.
Da parte nostra si
fa una certa fatica anche ad effettuare il breve tragitto che per qualche
centinaio di metri obbliga a prestare la massima attenzione nei passaggi
continuamente offesi dalle rotaie e da un amalgama di sottofondo a base di
materiale granuloso.
Mio suocero, che in
attività lavorativa aveva calcato la scena in questo sito per diversi anni, non
mi aveva mai parlato della vita in miniera. Forse per riservatezza, quella
stessa riservatezza nella quale si era rifugiato mio padre quando per
indelicata curiosità gli proponevo argomentazioni sul periodo vissuto in
trincea nella guerra del 15-18.
Risaliamo intanto i gradini
e i pianerottoli che ci hanno portato indietro nel tempo e ci congediamo
mestamente riconsegnando agli operatori aziendali quanto ricevuto in consegna.
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