Memorie tonaresi in pratza manna

martedì 31 maggio 2022

Nurri 1949

 

Nurri 1949

 

Settimana d’esami nell’ex convento


 

Nurri 1949

Settimana d’esami nell’ex convento

   In linea retta i chilometri che separano Nurri da Tonara sono una trentina ma quelli percorribili via auto sono circa sessantacinque. Ancora maggiori le distanze intercorrenti tra i due centri quando si faceva ricorso al trenino che oggi chiamano verde e che non circola più. E’ a detto mezzo ferroviario che un folto gruppo di studenti tonaresi di età scolare fece ricorso alla fine degli anni quaranta per poter raggiungere Nurri, località designata dai preparatori scolastici per lo svolgimento degli esami di ammissione alla scuola media.

   Era il mese di settembre del 1949. In quei tempi i mezzi su strada, gestiti da società di trasporto quali S.I.T.A e Rolando non potevano garantire in tempi brevi le giuste coincidenze con i vari paesi disseminati nel territorio. Col trenino fu tutto più semplice, salvo la tratta a piedi di circa cinque chilometri dal borgo di Tonara sino alla stazione di partenza.

   La nostra sistemazione logistica, preventivata dai nostri accompagnatori, che per tempo avevano sondato il legame delle amicizie più lontane, avvenne presso abitazioni private di Nurri e di Orroli, paesi distanti l’uno dall’altro non più di tre chilometri. Io trovai alloggio in quest’ultimo centro in una abitazione a piano terra dove per poter accedere alla mia camera da letto dovevo attraversare un loggiato segnato dalla presenza di molti strumenti da lavoro e, quel che colpiva maggiormente la mia attenzione, da una discreta quantità di uva pronta per essere pigiata. All’esterno una luce molto intensa si distribuiva uniformemente per il cortile e la circostante campagna. Ogni tanto una persona anziana dalla corporatura tozza e bassa, forse il proprietario, compariva e scompariva nei diversi ambienti del casolare. Non ricordo null’altro. Se fossi un pittore disegnerei sulla sinistra i vari attrezzi da lavoro, sulla destra i provocanti grappoli della vigna, in basso il pavimento in terra battuta, in alto la volta in legno e di fronte la luce. Non avrei dimenticato di raffigurare il contadino. Verrebbero ad essere incorniciati il mondo agricolo, il servizio di vigilanza e l’intenso fascio luminoso che governava il tutto. Questo il titolo del quadro: Innocenza, trasparenza e tentazione.

   Gli esami si svolsero negli ampi saloni dell’ex convento dei cappuccini, una costruzione severa e spartana che poco si addiceva, dato lo stato di semioscurità dei vari ambienti,  a quelle che erano le attese dei candidati al traguardo del ciclo scolastico successivo. I tempi impiegati per i vari tipi di verifica non avranno superato la settimana. Presumo che un giorno sarà stato riservato al compito scritto di italiano, un altro a quello di aritmetica, uno per la correzione degli elaborati e due o tre per le interrogazioni.

   Per l’italiano la nostra preparazione verteva su conoscenze di analisi grammaticale, recitazione a memoria di poesie di autori dell’Ottocento e brevi commenti su alcuni personaggi storici del Risorgimento. Di costrutti di tipo aritmetico nessuna traccia nella mia memoria. La commissione era formata da insegnanti di Nuoro. Pochi e sfumati i ricordi su quelle prove e sulle nostre attese sul parterre del chiostro con il pozzo in arenaria.

   Qualche traccia di interrogazione orale, mi riporta alle pressanti e continue richieste da parte dell’insegnante di lettere, una figura che tutti noi consideravamo intransigente e severa, alle definizioni orali e scritte del presente indicativo del verbo avere. Quanto si arrabbiava per la lettera acca usata impropriamente!

   Ho provato a ricomporre i vari tasselli di quell’avventura scolastica facendo ricorso ai compagni di scuola di quel periodo ma inutilmente. Rosa, più grande di me di qualche anno e dimorante a Tonara nell’ultima postazione di Pratza manna, ha oggi poche reminiscenze. Conferma che i risultati furono positivi per tutti i partecipanti ma con note di merito per Gabriele, uno studente della contrada di Maria Abrà del vicinato di Toneri, una delle tre frazioni tonaresi. Ricorda tra l’altro che in quella tornata d’esame erano presenti candidati di vari centri del Sarcidano. Della cameretta che condivideva con la madre rammenta i vaporosi cuscini adagiati sui lettini messi a loro disposizione. Esageratamente voluminosi.

   Ha modo di precisare oggi che a quegli esami era stata invitata a partecipare anche la sorella maggiore, ma, vuoi per l’età, vuoi per altri incomodi legati alla ripresa degli studi abbandonati da tempo, l’invito dei suoi familiari fu sempre disatteso.

   Ricordo che gli studenti del rione citato impegnati negli esami di ammissione avevano i loro domicili nelle vie Vittorio Emanuele e San Gabriele e nelle caratteristiche contrade di Maria Abrà, Pratza manna, Catzolaghedu e Sa Discarriga.

   Il superamento della prova consentiva l’accesso ai banchi della scuola media. E per noi tonaresi significava poter frequentare il ciclo successivo standocene arroccati in difesa sui nostri monti. Era una occasione da non perdere, una ghiotta opportunità da non lasciarci sfuggire. Molto merito si deve al riguardo al dottor Michele Pruneddu che da sempre aveva sostenuto la tesi di un corso di studi medi a Tonara. Altrettanto merito è da attribuire a quei licenziati dalla scuola elementare che avevano deciso di riprendere gli studi ad età avanzata.

   Preciso che nel gruppo degli iscritti al primo anno si dovevano includere non solo quelli che avevano sostenuto le prove d’esame a Nurri ma anche quanti avevano scelto come trampolino di lancio la sede di Oristano. Per quanto concerne i casati di appartenenza dei medesimi, i Sulis prevalevano sui Sau e questi ultimi sui Floris.

   Negli anni successivi questo grosso centro del Mandrolisai poté gestire in loco e per lunghi anni un servizio altamente meritorio a favore di molti studenti della Barbagia centrale.

   I benefici ottenuti dall’autorevole solco tracciato nel tessuto del patrimonio societario tonarese furono equivalenti se non superiori a quelli conseguiti con l’apertura al traffico delle importanti vie di comunicazione stradale e ferroviaria di fine ottocento.

   La capitalizzazione odierna dei risultati economici ottenuti nel tempo da tali importanti voci di interesse pubblico, ammesso il ricorso ad una possibile valutazione, porterebbe a valori di tutto rispetto.

   Alla fine degli anni quaranta non si badava minimamente a quelli che sarebbero potuti essere i vantaggi in itinere ed a quelli in fieri. A quell’età il lato culturale passava in seconda linea. Era importante invece salire sul treno per andare alla scoperta di nuovi territori e di altre comunità. Sembrò essere la cosa più interessante e divertente, una volta a bordo dei vagoni ferroviari, inseguire i pennacchi di fumo del locomotore che con molta grinta superava, ponti, gallerie, tracciati spesso molto tortuosi e paesaggi talvolta selvaggi e talaltra lunari. Dalle montagne ammantate di schisto di Barbagia si ripiegava sui tacchi di basalto e di arenaria degli altopiani del Sarcidano. Da collettività arroccate nei loro idiomi di alta montagna si scendeva verso altre comunità improntate all’uso di altri dialetti.

   Sono gli unici ricordi di viaggio che permangono nella mia memoria. Oggi il servizio ferroviario sulla tratta Sorgono Mandas, che prevede il passaggio alla stazione Desulo-Tonara, non è più garantito ai viaggiatori. Un locomotore è fermo a Sorgono chissà da quanto tempo. Forse è lo stesso che nel gennaio del 1921 trasportò il Lawrence, l’autore di Sea and Sardinia, lungo la tratta Cagliari - Sorgono. Non so se venne utilizzato nel 49 anche per il nostro viaggio a Nurri. Ho letto in questi giorni sull’Unione Sarda che detto mezzo meccanico verrà ceduto all’asta al migliore offerente! Anche una ditta russa è interessata all’affare. Questa è la morale della favola.

   Nei giorni che precedettero la partenza per gli esami un anziano signore della mia contrada mi aveva incaricato di porgere i saluti al signor Vinti, un artigiano di Nurri che aveva operato a Tonara come falegname. Gli infissi della mia abitazione di Toneri portano la sua firma. Dottor Bonu, parroco a Tonara dal 1922 al 1933 , riferisce nel paragrafo Industria e Commercio del suo lavoro su Tonara della operatività delle segherie elettriche con a capo la triade dei carpentieri Vinti, Deiana e Tore.

   Sembrava che il messaggio da esternare al noto professionista fosse l’adempimento più importante di tutta la mia missione. Il resto forse non contava nulla, pensavo.

   Forse questo antenato, non incoraggiando sufficientemente quelle che potevano essere le mie aspirazioni culturali, riteneva che dovessi considerarmi ampiamente soddisfatto di aver superato gli esami di quinta, un traguardo di gran lunga superiore a quelle che erano state le sue performance da terza elementare, la maggiore ambizione per gli scolari del primo decennio del Novecento.

   Dai registri scolastici del 1909 si può rilevare che gli insegnanti elementari impegnati nelle altrettante aule scolastiche del paese erano quattro: due per le classi prime maschili e femminili e gli altri due per la seconda e la terza mista. Preciso che gli studenti tonaresi poterono fare ingresso nella quarta classe solo nel 1910. In una relazione di bilancio del 1907 redatta dal segretario Raffaele Pulix si sottolinea con forza l’appello per l’istituzione della quarta elementare:

   Se le condizioni economiche del Comune lo permettessero io vi consiglierei di aumentare la dotazione per l’istruzione pubblica, trattandosi di un interesse sociale eminentemente civile. (…)

   Io non sono alieno dal proporvi che si dia un nuovo assetto alle scuole elementari, nel senso cioè, che uno degli Insegnanti maschili venga adibito all’insegnamento della quarta classe elementare (…)

   Al savio vostro apprezzamento il caldeggiare la proposta.

   Ricordo benissimo che l’ebanista con dimora sulla via principale del paese, si compiacque per il messaggio e mi salutò affettuosamente. Ero contento di aver assolto in pieno il mio compito. Ma non sarebbe finita lì perché avrei dovuto chiudere il cerchio a Tonara con la missiva di ritorno.

   Di quell’avventura condotta nell’ex convento dei cappuccini e nella pensione ubicata nella periferia di Orroli non ricordo null’altro. Resta solo la nostalgia di rivivere quadretti di vita vissuta che non ritornano più e che, a distanza di sessantacinque anni, possono essere rievocati soltanto disordinatamente e scompostamente dalla mia memoria.


Convento dei cappuccini di Nurri

Cenni storici

   Quanto vado esponendo è frutto del lavoro di Giovanni Secchi, figura di notevole spessore intellettuale alla quale molto dobbiamo per il recupero in chiave storica del tracciato dei cappuccini nella nostra isola a partire dal 1501, anno di fondazione dell’ordine nella nostra isola, sino al 1867, data di soppressione.

   La sua Cronistoria dei frati minori Cappuccini di Sardegna è suddivisa in due parti di cui la prima tratta del periodo che corre Dalla Fondazione alla divisione della provincia (1591-1697) mentre la seconda sviluppa i temi della Provincia di Cagliari dalla costituzione alla soppressione (1697-1867). La prematura scomparsa dalla vita terrena, avvenuta dieci anni orsono, gli ha impedito di portare a termine gli aspetti storiografici della provincia di Sassari. Il presumibile titolo di copertina sarebbe stato Provincia di Sassari dalla costituzione alla soppressione (1697-1867).

   Il mio compito è quello di riferire in estrema sintesi quanto il Secchi ha ampiamente riportato e documentato nel suo poderoso lavoro.

Data di fondazione del convento di Nurri

   La decisione di fondare un convento in Nurri, riferisce il Secchi a pag. 97 della Prima parte della sua Cronistoria, era stata presa nel Capitolo di Sanluri, il 9 maggio 1659; ma la fondazione non potè attuarsi fino al maggio 1663, perché solo l’estate scorsa era pervenuta la licenza del Re.

   A pag. 205, tra le figure principali del convento, vengono segnalati due presidenti con compito di guida negli anni 1664 per il primo (Angelo da Sestu) e 1665 e 1667 per il secondo (Nicola da Laconi). Al primo Guardiano che fu Bonaventura da Tonara nell’anno 1671 gli succedette Bonaventura da Nurri nel 1673.

   A pagina 17 della prima edizione del Necrologio dei Frati Cappuccini della Provincia di Sardegna, opera pubblicata da Ferdinando Tuveri nel 1989, si legge che il convento fu chiuso con la soppressione e abbandonato definitivamente col Padre Fulgenzio da Iglesias nel 1883, che ne trasportò le cose a Sanluri e Cagliari.

 

Provvidenze a favore del Convento nel tempo. Statistiche e fatti di cronaca.

   E’ importante precisare che nel 1667, seguendo una annotazione del Secchi di pagina 108, i conventi dei cappuccini esistenti in Sardegna sono 19, le fabbriche 1, i Noviziati 2, gli Studi 2, i Religiosi 289. Nel novero di questi ultimi sono compresi 57 predicatori, 70 sacerdoti, 46 chierici e 116 laici. Sono questi i dati statistici elencati nelle Tavole dei capitoli generali.

   Anno 1673

   Provvidenze particolari per i singoli conventi riguardano la questua, la costruzione o manutenzione di locali, la recinzione di orti, la realizzazione o il riassetto di servizi igienici. I conventi interessati sono Masullas, Sanluri, Barumini, Nurri, Bolotana, Ploaghe, Bitti, Sorso, Sassari, Bosa e Nulvi. Vedere a pag.119.

   Anno 1690

   Durante la congregazione tenutasi ad Oristano il 15 aprile di tale anno, il Definitorio rileva che nei conventi di Sanluri, Masullas, Barumini, Nurri e Villasor esistono dei censi annuali applicati all’olio della lampada del Signore, del Beato Felice e della Purissima Concezione. Tali redditi o pensioni vengono cercati o riscossi dai fabbricieri o dai sindaci in nome dei frati. Vedere a pag.161.

   Anno 1693

   Ad Oristano, mentre sono corso i lavori della congregazione fissati per il sei del mese di gennaio, si dispone la vendita dell’orologio del convento di Nurri per mezzo di un sindaco che sia ben accetto al P. Ignazio da Laconi, guardiano del convento di S.Antonio; se ne farà uno nuovo, più semplice, e lo si collocherà in una stanza da realizzarsi a tal fine. Vedere a pag.170.

   Anno 1704

   A pagina 25 del primo volume della Seconda Parte della sua Cronistoria Giovanni Secchi riferisce che nel convento di Nurri, su segnalazione del Guardiano, necessitano varie stanze: una per sbattere e pulire i panni; un’altra per il bucato e altre due per i donati; occorre poi ampliare il corral della legna e del sarmento. Il Definitorio, dopo un attento sopralluogo, ne dispone la realizzazione, indicando per ciascun ambiente il sito: la escotola e la colada a ridosso della cucina dalla parte dell’orto basso; le stanze dei donati affiancate alla dispensa del refettorio accanto al magazzino della paglia. Sarà recintato per orticello lo spazio antistante le finestre del forno della calce, e si faranno tre muri ognuno con la sua porticina e un passaggetto d’accesso all’orto.

   Vengono inoltre autorizzati i lavori per la costruzione di una stanza, dove il sacrestano possa preparare le ostie e riporre oggetti della sacrestia: sarà fatta a tergo della parete unita all’angolo della sacrestia a tramontana e vi si accederà dall’orticello, ricavando una porta in tale parete, e la finestra guarderà a tramontana o a oriente. La detta stanza sarà quadrata, di dodici palmi per lato, la parete esclusa.

   Anno 1705

   Al convento di Nurri viene concessa dal Definitorio la realizzazione della cornice d’un quadro d’una cappella, che però dovrà essere liscia e senza colonne. E’ questa una testimonianza che il Secchi riporta a pag. 28.

   Anno 1710

   Volendo il Definitorio soddisfare alla religiosa pietà di alcune persone di Nurri, che sono il licenziato Francesco Pili e il maestro Tomaso, dispone che nella chiesa del convento, d’ambo i lati del presbiterio, siano aperte due nicchie: in cornu evangelii sarà collocata la nicchia in onore della Madonna; in cornu epistolae quella a San Francesco. Vedi pag.45 e 46.

   Anno 1722

   Al Superiore del Convento di Nurri, si legge a pag. 89, si concede la licenza di spianare la piazza antistante la chiesa, la qual cosa richiede la realizzazione di alcuni gradini per l’accesso alla chiesa medesima.

   Anno 1736

   In tale anno vengono impartite precise disposizioni sul regolare esercizio della questua tra il convento di Nurri e quello di Tortolì, e ciò per evitare litigi e confusioni. Tortolì, fino a quando non avrà la famiglia al completo, questuerà le carni e gli agnelli nel villaggio, in Bari (Sardo), Loceri, Ilbono, Baunei, Triei, Lotzorai e Girasole, mentre Nurri conserverà l’attuale distretto fino al villaggio di Ollastra. Agnelli e montoni (vivi) saranno portati via dai conventi e consegnati ai pastori, secondo l’antico uso. E’ quanto si legge a pag.152.

   Anni 1830 e 1831

   L’esposizione del fatto di cronaca accaduto il 10 ottobre del 1830 a Nurri è ampiamente commentata e descritta nei numerosi esposti, rapporti, verifiche, chiarimenti, tentativi di riappacificazione condotti a vario titolo nelle sedi più opportune da alte cariche governative ed ecclesiastiche del Regno sardo. Per il lettore più esigente sono a disposizione i volumi della Seconda parte della Cronistoria. Nel primo di essi, l’intera vicenda è illustrata dal Secchi, alle pagine 505-506-507, come in un racconto mentre nel secondo, è presentata tutta la documentazione ufficiale. In particolare si rinvia in questo secondo caso alle pagine 883-884-885-886 e 892-893.

   Di che cosa tratta la fattispecie? Di incomprensioni e screzi maturati nel tempo tra parroco e padri conventuali del piccolo centro del Sarcidano. Oggi la vertenza troverebbe soluzione in altri contesti e senza il ricorso ai più alti gradi di giurisdizione. Di che si duole il Rettore di Nurri? A pagina 565, Giovanni Secchi riferisce che l’attuale Guardiano dei Cappuccini lo intralcia nell’esercizio del suo ministero, inteso a far si che i fedeli santifichino i giorni festivi e le domeniche.

   I dissapori e i disaccordi cominciano a manifestarsi durante i riti celebrativi della festività della Madonna del Rosario. Il vaso trabocca nel momento in cui viene riferito al parroco dell’impossibilità di far transitare la processione nella piazza antistante il convento a causa dei balli programmati dai conventuali e da compiacenti secolari alle prime ore del pomeriggio del 10 ottobre. Possiamo inquadrare nel nostro immaginario la successione dei fatti occorsi nella piazzetta antistante la chiesa dei frati, in queste rapide scenette:

nella prima di esse intravvediamo alcune coppie di ballerini che, favoriti dalla accondiscendenza e curiosità dei padri conventuali presenti in portineria e spalleggiati dalla autorevolezza di alcuni personaggi di spicco della comunità locale, si abbandonano alle danze ed alla melodia di un suonatore di piffero e tamburo

nella seconda, lungo il percorso che porta dalla parrocchia al convento, distinguiamo il sagrestano che si accerta della situazione in pratza de is ballus per riferire i fatti al rettore

nella terza, il sacrista, a sopralluogo avvenuto, si presenta in convento per comunicare al padre guardiano, a nome del rettore, di astenersi dal celebrare la messa nel giorno seguente. L’ingiunzione ha gli effetti di una scomunica. Per il tramite dello stesso sacrista, il padre conventuale ed il suo Vicario mandano a dire al Sig. Rettore di non saper esso il suo dovere

nella quarta la processione si sviluppa in tutto il suo percorso senza incontrare ostacolo alcuno. Di ballerini, di suonatore e dei compiacenti fomentatori religiosi e secolari di tanto scandalo neppure l’ombra.

   Dietro le quinte intanto il rettore informa dell’accaduto il delegato di Giustizia, il quale a sua volta ingiunge al capitano dei barracelli di arrestare il suonatore che ormai ha fatto perdere le sue tracce. Con una lunga relazione scritta di proprio pugno il parroco espone i fatti tanto al vicerè quanto al suo arcivescovo per i provvedimenti del caso.

   Lo scenario intanto si arricchisce della presenza di nuovi personaggi quali il prefetto di Isili, destinatario del rapporto trasmesso al vicerè, ed il parroco di un comune del circondario del Sarcidano, delegato dell’arcivescovo. Dalle informazioni raccolte da parte degli ultimi interessati si ha modo di capire che le incomprensioni tra parrocchia e convento tenderanno ad assopirsi. Almeno sulla carta!

   Anno 1842

   La famiglia conventuale di Nurri è composta, secondo una statistica stilata nel mese di dicembre del 1842 e citata dal Secchi a pagina 671 del Vol.1° della Seconda parte della sua Cronistoria, da 7 elementi di cui 4 predicatori (Padre Giuseppe d’Iglesias, P.Antonio Felice d’Iglesias, P.Francesco Ignazio da Cabras e P.Filippo d’Iglesias) e 3 laici (Frate Francesco Maria da Cagliari, Fr.Bonaventura da Villa Greca e Fr.Antonio Francesco da Neoneli).

   Anno 1865

   Luigi Maria da Ghilarza, Ministro provinciale dei Cappuccini di Cagliari, esprimendo profonda preoccupazione per la ventilata e paventata soppressione dell’ordine, esterna il suo tormento sia nella condivisione con i religiosi sia nell’accorata relazione trasmessa al Padre Generale in data 26 dicembre 1865. Vedere a pagg.766, 767 e 678.

   Anno 1867

   Si conclude, riferisce il Secchi a pagina 780, con l’anno 1867, il periodo di storia considerato per la Cappuccina Provincia di Cagliari (1697-1867), giacché in questo anno la Provincia, benché continui nella sua giuridica esistenza come circoscrizione dell’Ordine e secondo l’ordinamento interno di questo, cessa, tuttavia, dall’avere esistenza nel foro dello Stato per effetto delle leggi di soppressione delle Corporazioni Religiose.

Sullo stato dei religiosi nel convento di Nurri nel 1765

Inchiesta condotta da Padre Marene

   In vista di una riduzione del numero dei conventi e dei propri affiliati proposta dal conte Bogino, primo ministro del Re di Sardegna, fu disposta nel 1765 da Padre Gian Michele da Marene, nella veste di Commissario Generale dei Cappuccini di Sardegna, un’indagine conoscitiva sulla realtà cappuccina sarda. Vedere a pagina 788 del Vol. I della Seconda Parte della Cronistoria del Secchi.

   Per la compilazione del questionario, rivolto a tutte le famiglie conventuali ed articolato in diversi quesiti, fu offerta la possibilità di rispondere in lingua latina o spagnola.

   Qui di seguito le risposte date da Padre Fedele Tanda da Desulo nelle vesti di Vicario (vice Guardiano) del convento di Nurri.

   Risposta alla prima domanda

   La quantità di pane raccolta settimanalmente nel centro di Nurri può soddisfare i bisogni di una decina di religiosi (sacerdoti, laici e terziari) mentre la questua del vino può essere sufficiente per appena sei di essi.

   Risposta alla seconda domanda

   Oltre al villaggio di Nurri viene visitato anche il centro di Orroli, distante dalla sede del convento circa mezzora. La questua di pane, condotta settimanalmente, può bastare per due religiosi.

   Risposta alla terza domanda

   Diversi sono i centri assegnati per la questua al convento di Nurri. Essi sono Siorgus, Donigala, Mandas, Escolca, Serri, Gesico, Isili, i quattro paesi del Gergei, Sadali, Sterzilis, Sehuj, Seolo Usasij, Villanova Tolo, Eschalaplano e Perra de foco (sic). La raccolta relativa agli articoli pane e vino potrebbe essere sufficiente per il sostentamento di una decina di religiosi.

   Risposta alla quarta domanda

   La questua annua del grano si effettua nei paesi citati, ad eccezione dei quattro centri del Gerrei che risultano assegnati al Convento di Quartu. Il quantitativo medio raccolto si aggira sui 20 starelli. Il suo utilizzo serve per far fronte alle riparazioni della struttura monastica. Fra Fedele Tanda non ricorda da quanto tempo sia in vigore presso il monastero la raccolta del cereale citato.

   Risposta alla quinta domanda

   Le messe fisse celebrate nel convento, circa una sessantina, fanno riferimento alla voce dei legati mentre quelle occasionali sono rare.

   Risposta alla sesta domanda

   Non si segnalano elemosine fisse per pietanza (carne e pesce). Le somme necessarie per l’alimentazione delle lampade votive e quelle realizzate durante le solenni festività raggiungono l’importo di 84 scudi. Almeno questa è la mia interpretazione. Forse nella testimonianza di Fra Fedele c’è qualche omissione che mi impedisce di effettuare una esatta verifica dei suoi conteggi. In ogni modo, al fine di favorire una migliore attenzione, propongo in nota per il lettore i termini di equivalenza tra i valori sardi dello scudo e della lira in vigore in detto periodo (1).

   Qui di seguito la domanda posta dal Marene:

   An sint aliquae eleemosinae fixae pro oleo, Pitantia, Festivitatibus? Et circa haec omnia fiat esplicatio

e la risposta data dal Tanda:

   Nulla est eleemosina fixa pro pitantia, pro oleo ac Festivitatibus sunt circiter 84 scuta nempe pro oleo ll.23: pro Festivitate S.ti Francisci ll.7: pro illa S.Felicis ll.6: pro Defunctis ll.4: pro illa S.Antonii ll.12: pro illa Beati seraphini ll.4: pro illa S.Rosae ll.22:10: (per la festività di Santa Rosa lire 22 e 10 soldi).

   Risposta alla settima domanda

   Per il fabbisogno di carne i religiosi fanno affidamento alle sufficienti questue di agnelli e capretti operate nei centri assegnati al convento. Per il consumo bisogna attendere che detti animali siano condotti al pascolo per l’intero anno dal servo della famiglia conventuale (adunando opportuno tempore oves, et hedos, qui pascuntur, et per decursum anni comeduntur). Non vi è invece possibilità alcuna di approvvigionarsi di pesce, prodotto che purtroppo deve essere acquistato (Pisces vero non inveniuntur questuando, bene vero emi debent).

   Risposta all’ottava domanda

   Per quanto riguarda i legumi, articolo importante per la dieta dei religiosi, si ricorre alla semina e alla raccolta dei medesimi nelle pertinenze dirette del monastero (ideoque Fabae, ac aliqua ex aliis speciebus leguminum seruntur in districtu Clausurae Conventus).

   Risposta alla decima domanda

   Le spese necessarie per ogni religioso si aggirano sui sette scudi di cui cinque per medicinali, assistenza infermieristica ed ulteriori necessità (2). Per il vestiario, il cronista rileva che il contributo in lana offerto dal convento di Nurri è decisamente superiore a quello stabilito dal regolamento.

   Si precisa che le pezze di orbace, materia prima per il saio dei confratelli della provincia di Cagliari, sono prodotte dai religiosi nel centro di Domusnovas, sede in cui operano le gualchiere.

   Risposta alla dodicesima domanda

   Con quest’ultimo quesito vien data la possibilità all’interrogato, che è il vicario del convento, di presentare eventuali problemi sulla regola cappuccina e sullo stato dei religiosi.

   Non ho nulla da aggiungere, riferisce l’interessato, fatta eccezione per la manutenzione annua dell’edificio, le cui fondamenta sono compromesse dal deflusso delle acque sotterranee, e per i rigori invernali patiti dalla famiglia conventuale. In proposito il cronista riferisce di aver sentito dire di una promessa, regolarmente disattesa, di un carro di legna d’ardere a carico della comunità nurrese ed a favore del convento il quale, a sua volta, avrebbe onorato i suoi impegni con orazioni e sermoni nei periodi di Avvento e di Quaresima, come da consuetudine. Il nostro vicario cercherà comunque di approfondire la questione e di fare chiarezza (attamen ipsa Comunitas non adimplet suppositae promissioni, unde cum certo nesciat quod sibi relatum fuit sit verum necne, hoc sub dubio ponit, sed maiorem informationem exquiret).

   La data della stesura (die 25 Februarii 1765) e la firma del cronista (Fr. Fidelis a Desulo Vicarius) sono riportate in calce al documento.

   P.S. Avrei gradito, nell’interpretazione del presente questionario, l’aiuto e la consulenza specifica di Giovanni Secchi, autore di una cronistoria degna di un certosino di tutto rispetto. Purtroppo il suo pellegrinaggio terreno, interamente dedicato alla famiglia conventuale prima ed alla sua famiglia dopo, è terminato una decina di anni fa. Ho sempre cercato di fare tesoro dei suoi insegnam

 

 

 

 

Nota n.(1)

   Per effetto del Regio editto del 26 novembre 1842, lo scudo e la lira sarda saranno rispettivamente convertibili in lire nuove 4,80 e 1,92.

   La lettura della suddetta tabella a doppia entrata, operando per linee orizzontali, va effettuata nel seguente modo:

   Uno scudo equivale a due lire e mezza, oppure a dieci reali, ma anche a cinquanta soldi o ancora a seicento denari. Lo scudo, a datare dal 1842, come già precisato, varrà lire nuove quattro e centesimi ottanta.

   Identico discorso va fatto per le altre pezzature.

   La lettura può essere utilizzata anche per linee verticali.

 

Nota n.(2)

   Per avere un’idea del valore dello scudo sardo occorre ricordare che nei secoli della dominazione spagnola e sabauda con tale importo si potevano acquistare una pecora da latte o uno starello di grano (misura di capacità per gli aridi di cinquanta litri).

mercoledì 18 maggio 2022

Carbonia. I pozzi di Serbariu

 

Carbonia

I pozzi di Serbariu

 

   La velocità di crociera del pullman che da Oristano indirizza alla città mineraria consente agevolmente al viaggiatore di cogliere le migliori sfumature e sfaccettature dei quadri naturalistici proposti da questa stagione primaverile.

   Ho sempre ritenuto che le severe montagne che incorniciano i vari centri del Sulcis Iglesiente fossero ammantate di colori scuri ma mi sono ricreduto questa mattina nell’osservarle con tinte inaspettatamente verdi. Viste da vicino non si fa molta fatica a capire che questo sfarzo cromatico è favorito dalle chiome degli arbusti della macchia mediterranea.

   Costruzioni a schiera, binate e singole, sembrano richiamare lo sguardo dei viaggiatori ad una osservazione più attenta delle aree verdi a ridosso delle edificazioni. A baluardo della loro difesa è segnalata la presenza di stranissime montagne di forma tronco conica.

   Il mezzo si trova ora nei pressi dell’ingresso della miniera di Serbariu, sito evidenziato a distanza dalla presenza di due possenti ruote collocate, a ridosso delle rispettive costruzioni, a circa trenta metri d’altezza.

   L’autista, dopo aver indirizzato il pullman all’interno dell’ampio parcheggio ed invitato i passeggeri a scendere, resta in attesa che la visita alla miniera si concluda nel migliore dei modi.

   La guida delegata ad accogliere il gruppo dei visitatori di cui faccio parte è già pronta a fornirci le prime istruzioni di carattere storico e museale del plesso minerario che fa capo alla città di Carbonia, centro istituito con R.D.L. il 5 novembre del 1937 ed inaugurato da Mussolini il 18 dicembre del 1938. Fatte queste brevi precisazioni ci invita ad attraversare l’ampio piazzale che porta ad una delle due altane gemelle.

   Una volta all’interno del vasto monolocale ci accorgiamo che gli spazi riservati ai visitatori sono estremamente ridotti e ciò per favorire gli avvitamenti della puleggia attorno ai rotori dell’imponente macchinario che regola il traino degli ascensori, in salita ed in discesa, verso il pozzo.

   Cerco di capirne di più accostandomi alla viva voce della guida ma devo accontentarmi di sostare nelle retrovie in quanto le postazioni migliori sono già occupate da altri. Peccato! Devo purtroppo affidarmi solamente alla lettura delle mie dirette osservazioni o alle tardive richieste di chiarimenti verso terzi. Di questo supplemento di consulenza ne approfitto durante il percorso che porta alla hall della reception.

   Intanto riceviamo istruzioni sul comportamento da tenere negli approcci con il nostro breve percorso in miniera. Siamo inquadrati in gruppi di venti e ben equipaggiati di retina e di elmetto copricapo. Attendiamo il via per i piani sotterranei. Alla nostra destra si trova il lungo bancone che nei tempi di operatività del pozzo serviva per favorire la consegna, tra operatori aziendali e minatori, delle targhette di riconoscimento, delle lampade di acetilene e degli elmetti di protezione. Gli oggetti di scambio sono ora visibili lungo la parete che corre sulla bancata. Le fascette metalliche assomigliano tanto ai gessetti utilizzati nei tirassegni delle feste paesane. Disposte una appresso all’altra per file e per colonne occupano in verticale uno spazio non superiore ad un foglio di propaganda elettorale. Sono più di un migliaio.  

   Per la discesa non si fa uso di gabbie ma di scale ben distribuite in ampi gradini e diversi piani di riposo.

   Le volte diventano basse e spesso bisogna chinarsi per poter procedere oltre. I percorsi sono mediocremente illuminati per cui bisogna prestare attenzione alle insidie avanzate dalle rotaie e dalle berline, ossia i cassonetti atti al trasporto del materiale.

   Non si fa alcuna fatica a capire le condizioni di lavoro dei minatori. Caldo, aria irrespirabile, rumori, spossatezza, spazi ristretti, situazioni di costante pericolo. Questi gli ingredienti di un lavoro che dispensava, inoltre, a tutti gli operatori malattie respiratorie di grosso impatto.

   Riferisce la guida che intorno agli anni Cinquanta vennero impiegati nell’attività estrattiva poderosi macchinari che favorirono di molto la produttività dell’azienda statale e resero più razionale e dignitoso il lavoro dell’operaio. Uno di questi impianti, ben visibili alla nostra destra, sebbene inoperosi, presenta delle potenti ganasce circolari pronte ad addentare ed a sbancare con decisivi avanzamenti le pareti di contorno. Il tutto è ben spiegato dalla guida che non tralascia di scendere nei particolari di alcuni ingranaggi. Sembra molto soddisfatta delle spiegazioni la ragazza del gruppo di cui faccio parte che cerca in continuazione di prendere appunti su un taccuino abbastanza assortito. Penso abbia fatto un particolare riferimento alle condizioni di lavoro dei minatori. Condizioni pur sempre improponibili.

   Da parte nostra si fa una certa fatica anche ad effettuare il breve tragitto che per qualche centinaio di metri obbliga a prestare la massima attenzione nei passaggi continuamente offesi dalle rotaie e da un amalgama di sottofondo a base di materiale granuloso.

   Mio suocero, che in attività lavorativa aveva calcato la scena in questo sito per diversi anni, non mi aveva mai parlato della vita in miniera. Forse per riservatezza, quella stessa riservatezza nella quale si era rifugiato mio padre quando per indelicata curiosità gli proponevo argomentazioni sul periodo vissuto in trincea nella guerra del 15-18.

   Risaliamo intanto i gradini e i pianerottoli che ci hanno portato indietro nel tempo e ci congediamo mestamente riconsegnando agli operatori aziendali quanto ricevuto in consegna.