Memorie tonaresi in pratza manna

martedì 18 giugno 2024

Gita in Marmilla

 

Gita in Marmilla


L’Associazione Cinquanta & Più di Oristano ha ritenuto, con l’avvio delle prossime vacanze estive, di chiudere la stagione primaverile con una breve gita nel dipartimento oristanese della Marmilla. Le località definite nel programma sono Masullas, Pompu e Turri. Alle prime due sedi sono riservati i tracciati di maggior interesse culturale mentre alla terza è stato assegnato il compito di carattere gastronomico.

In particolare a Masullas, le guide locali si adopereranno per illustrare ai partecipanti le note più salienti sui vari ambiti della chiesa parrocchiale e del museo cittadino mentre a Pompu gli accompagnatori turistici saranno impegnati a presentare, in reparti distribuiti in diverse salette di un caseggiato a pian terreno, i vari processi della panificazione secondo le regole del passato.

Il dulcis in fundo sarà regolato a Turri nell’ampio salone di un ristorante adagiato nella natura incontaminata del suo territorio.

La partenza da Oristano è fissata per le otto e mezza mentre l’arrivo nella prima località è previsto intorno alle ore nove e un quarto. I partecipanti al raduno, nel numero di una ventina, troveranno comodamente posto nel pullman prescelto dagli organizzatori.  

Una volta giunti a Masullas, il gruppo dei gitanti si incammina a passo spedito verso l’abitazione di uno degli associati dove, nel piano terreno, verranno offerti aperitivi, pasticcini, e caffè. A questa sontuosa anteprima dedicata alla colazione farà seguito la visita alla vicina pieve, luogo di culto dedicato alla Beata Vergine delle Grazie.

Ed eccoci sul sagrato. Alle attente osservazioni della guida, che avrà il suo gran da fare nell’illustrazione degli esterni e degli interni della parrocchia, dovrò purtroppo rinunciare a causa di una sordità che non mi consente di recepire chiaramente le fila del discorso. Per giunta mi ritrovo orfano di entrambi gli auricolari e, fino a quando non saranno riparati, dovrò affidarmi a ciò che vedo ed a quanto può impressionarmi.

Mentre gli altri si trovano all’interno della chiesa, preferisco sostare sul suo piazzale per osservare con molta attenzione la singolare ed intrigante facciata ed il bianco campanile che la sovrasta dall’alto dei suoi trentasette metri.

Ho usato il termine singolare in quanto il frontone, normalmente rappresentato dalla superficie di un triangolo isoscele, assume la forma di in trapezio dove i lati obliqui somigliano al lato ascendente ed a quello discendente della lettera maiuscola Emme mentre la base minore funge da congiunzione tra i due vertici con un leggera curvatura verso l’asse mediano. Il credere che detta lettera, riscontrabile nello stile calligrafico denominato Rotondo, possa rappresentare l’iniziale del nome della Vergine Maria, è solo frutto della mia immaginazione.

Sono ricorso al termine intrigante per giustificare le difficoltà incontrate nella lettura dell’iscrizione incisa sopra il portone d’ingresso. Mi auguro comunque di essere riuscito a risolvere il quesito con la seguente traduzione:

QUESTA OPERA E’ STATA REALIZZATA DI PROPRIA INIZIATIVA DAL SIGNORE DON FRANCESCO MASONES NIN VESCOVO. 1694.  

Preciso che i cognomi dei genitori del vescovo della Diocesi di Ales-Usellus sono Masones e Nin.

Riporto intanto quanto risulta scritto nell’epigrafe:

HOC OPPUS LABORAVIT MP A DNO DONFRAN.co M. ET NIN. EPO.1694.

In forma corretta e sciolta si leggerebbe:

HOC OPUS LABORAVIT M(OTU) P(ROPRIO) A D(OMI)NO DON FRAN(CIS)CO M(ASONES) ET NIN. E(PISCO)PO. 1694.

Detta scritta, definita in caratteri lapidei lungo una sola linea orizzontale, risulta affiancata da una duplice coppia di colonne con i capitelli che sorreggono la base maggiore del timpano. Sulla linea mediana della facciata risultano in chiara evidenza il rosone e il trigramma di San Bernardino.

L’intera facciata, ad onore del vero molto bella, risponde alle regole dello stile barocco.

Quando i gitanti cominciano ad uscire dal tempio, colgo l’occasione per fare una brevissima visita agli interni dove concludo con veloci osservazioni sulle cappelle che si susseguono lungo la navata centrale. Archi a tutto sesto per la maggior parte di esse ed archi ogivali per le cappelle che guardano più da vicino il presbiterio. In alto a queste ultime si osservano volte a crociera con corpose chiavi di forma tronco conica.

Prima di chiudere con la visita alla chiesa parrocchiale tengo a precisare di non aver avuto alcuna difficoltà nel decifrare quanto definito nell’epigrafe citata per i seguenti motivi:

a)     In terra di Marmilla sono di casa. In particolare, nell’archivio storico della diocesi di Ales, con l’intenzione di ricostruire i passi più importanti della vita di Antonio Tore, un mio conterraneo tonarese vissuto tra gli ultimi decenni del Settecento e gli anni Quaranta dell’Ottocento, ho bivaccato per una trentina di sedute da sei ore ciascuna. Come religioso aveva svolto il suo ministero in diversi centri della Barbagia e, sempre in età giovanile, aveva assunto le mansioni di vicario generale nella diocesi di Oristano. Consacrato vescovo a Bosa fu incaricato di governare la diocesi di Ales dove prestò i suoi servizi per circa un decennio. In seguito fu trasferito a Cagliari per esercitare la delicata funzione di arcivescovo.

b)     Ad Oristano, mia residenza da lungo tempo, sempre inseguendo le orme dell’alto prelato, ho potuto utilizzare al meglio i registri della mia parrocchia tonarese che ora risultano depositati nell’Archivio Storico arborense. Per assolvere a questo faticoso compito ho impiegato un tempo superiore ai dieci anni.

c)      Forte dell’esperienza curata nei centri diocesani di Oristano, Ales e Cagliari, ritengo di non aver mai trovato eccessive difficoltà nell’esaminare i documenti di un passato che corre dalla fine del Cinquecento ad oggi. Porto un esempio che fa riferimento alla iscrizione posta sulla stele di una fonte tonarese e che ricalca in qualche passaggio l’epigrafe posta in risalto sulla facciata della chiesa masullese. In essa viene riferito che l’opera venne eseguita nel 1762 a merito del suo rettore e dei suoi tre viceparroci. In questo caso i Cinque libri mi vennero incontro con la conferma degli estremi anagrafici di tutti i religiosi citati nell’incisione.

Dopo aver reso visita alla parrocchia il gruppo si ricompone ed è pronto per indirizzarsi alla volta del vicino museo naturalistico. La maggior parte dei componenti trova il modo, durante il trasferimento, di concedersi una breve pausa nei pressi della casa colonica di Francesco, un signore che con molto garbo si presta a brevi interviste sulla tenuta agraria che fronteggia la sua abitazione. Tra noi e l’agricoltore insiste una recinzione che supera abbondantemente il metro e mezzo d’altezza e sulla quale qualcuno si distende con gli avambracci, dietro di lui in prima fila due ampi solchi di piantine di melanzana, in seconda fila i cetrioli, in terza le zucchine ed al termine la sua dimora.  Alla sua sinistra una catasta di legna d’ardere di olivastro e sparsi sul terreno strumenti del mestiere che sanno di cesoie, roncole, zappe, rastrelli e pompe per l’irrigazione. Non vedo piantine di pomodoro. Sono là in fondo, riferisce Francesco. Fra qualche settimana, il raccolto di dette primizie onorerà le mense dei buongustai. I fagiolini, intanto, hanno già fatto la loro apparizione in tavola da tempo.

Di solito uso sempre coltivare amicizie con contadini e falegnami. Dagli uni e dagli altri cerco sempre di carpire segreti sulle loro professioni. In questa occasione, sento il dovere di rinnovare il mio ricordo per Peppino, un coetaneo deceduto un semestre addietro. Due anni fa mi aveva regalato una penna modellata col tornio su legno di castagno e sulla quale aveva inciso le sue iniziali. Una opera d’arte, uno strumento che utilizzo con piacere nella stesura dei miei servizi.

Al museo naturalistico, ospitato nelle salette dell’ex convento dei Cappuccini, c’è tanto da apprendere intorno alla vasta e documentata esposizione di minerali. Molti di essi sono presentati sia sotto l’aspetto compositivo che cristallografico. I reperti recuperati principalmente nella zona del Monte Arci fanno riferimento alle eruzioni vulcaniche del passato. L’ossidiana, minerale ad alto contenuto di silicio, non può mancare in bacheca. E’ notorio che la crosta terrestre del nostro pianeta, qualificata con l’acronimo SIAL, va ad   accogliere come elementi il silicio e l’alluminio. Per gli strati che portano al centro della terra, non interessati quindi ai movimenti teutonici, valgono invece le definizioni SIMA E NIFE (Silicio, Magnesio, Nichelio e Ferro).

Tra le sostanze calcaree è in esposizione la calcite, un sale minerale i cui elementi sono il carbonio, il calcio e l’ossigeno.  Le guide al seguito si fanno apprezzare per l’esposizione dei loro argomenti e per le risposte ai quesiti dei visitatori.  

Con un certo sforzo riesco ancora a coniugare la lettura di ciò che maggiormente interessa le mie attenzioni con i lineamenti scolatici legati allo studio della chimica. Ossidi ed idrati vanno d’accordo con i metalli mentre le anidridi e gli acidi convivono con i metalloidi. Il termine di congiunzione finale è dato dai sali. Ed in questo museo non si parla d’altro che di sali minerali,

Pompu, paese di duecentoventi anime, è la seconda tappa del nostro excursus mattiniero. Per arrivarci bisogna inseguire vaste distese collinari, ben ormeggiate da piantagioni di ulivo ed olivastro, che si susseguono a perdita d’occhio con sequenze rettangolari nelle aree curate dalla mano dell’uomo e in ordine sparso e diseguale nelle superfici orfane dell’apporto umano.

Molto interessante la visita condotta sui diversi tipi di panificazione elaborati secondo le regole del passato. Il tutto viene presentato nei reparti allestiti nei locali di un edificio comunale.

Naturalmente si fa riferimento ai tempi in cui la macinazione del grano veniva attuata con il concorso dell’asino, il quale, operando attorno alla mola con cerchi concentrici, favoriva la rotazione del palmento intorno alla base fissa del mulino. Con molta sincerità devo ammettere di non aver mai assistito alle operazioni governate dall’animale. Eppure il contributo del paziente quadrupede è stato determinante anche nel sollevamento dell’acqua dai pozzi. Le norie del passato hanno ceduto il passo alle pompe idrauliche del presente.

A Samugheo, in località Ponte Ecciu, avevo presenziato, una ventina di anni fa, alla macinazione del grano operata con i palmenti fatti ruotare dall’acqua del fiume.

Il mio paese, con l’utilizzo dell’energia elettrica datata 1925, ha dovuto fare a meno dei mulini ad acqua già dall’inizio degli anni Trenta. In quegli anni nella mia abitazione di Via Vittorio Emanuele venne impiantato un mulino elettrico che successivamente, verso gli inizi degli anni Quaranta, fu dislocato nella casa dei Garau in Sa Discarriga, Devo precisare che mia madre, prima del 1936, anno in cui convolò a nozze, aveva prestato il suo servizio nell’arte molitoria come mugnaia.

Un ultimo appuntamento è riservato all’immagine fotografica di un nuraghe quadrilobato esistente ai confini del paese. Santu Miale è il nome che gli è stato assegnato ab illo tempore. Miale sta per Michele e Mialita per Michela. Così risulta dai registri parrocchiali tonaresi di inizio Seicento.

L’ultima tappa si consuma in un ristorante di Turri. La capienza del salone può ospitare comodamente sino a cento commensali. Nulla da eccepire sulla celerità dei servizi e sulla bontà delle bevande e delle cibarie. Ad ogni inserviente ai tavoli ho riservato il termine di Achillide, ossia Piè veloce Achille. E’ questo un neologismo che vale più di un complimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 13 giugno 2024

Masullas

 

Masullas    

Iscrizione sul frontone della chiesa parrocchiale

Trattando a grandi linee della chiesa parrocchiale di Masullas, mi sento in dovere di partecipare ai suoi fedeli frequentatori che la progettazione e la costruzione dell’edificio di culto vennero portate a termine nel 1694 a merito del cagliaritano Francesco Masones Nin, vescovo della Diocesi di Ales – Usellus.

Sul frontone, appena al disopra del portone d’ingresso ma sotto il trigramma di San Bernardino, risulta bene evidenziata la seguente iscrizione:

HOC OPPUS LABORAVIT MP A DNO DONFRAN.co. M. ET NIN EPO. 1694.

Presentando il tutto in forma sciolta e più corretta si otterranno le seguenti conclusioni: HOC OPUS LABORAVIT M(OTU) P(ROPRIO) A D(OMI)NO DON FRAN(CIS)co M(ASONES) ET NIN E(PISCO)PO. 1694.

Qui di seguito la mia costruzione letterale in italiano:

QUESTA OPERA E’ STATA REALIZZATA DI PROPRIA INIZIATIVA DAL SIGNORE DON FRANCESCO MASONES NIN  VESCOVO. 1694.

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Mi riservo di coniugare il riscontro di questo modesto contributo con la pubblicazione a più ampio respiro del resoconto della gita consumata domenica scorsa nel dipartimento della Marmilla.

Oristano, 12 giugno 2024

Giovanni Mura