Gita in Marmilla
L’Associazione
Cinquanta & Più di Oristano ha ritenuto, con l’avvio delle prossime vacanze
estive, di chiudere la stagione primaverile con una breve gita nel dipartimento
oristanese della Marmilla. Le località definite nel programma sono Masullas,
Pompu e Turri. Alle prime due sedi sono riservati i tracciati di maggior
interesse culturale mentre alla terza è stato assegnato il compito di carattere
gastronomico.
In
particolare a Masullas, le guide locali si adopereranno per illustrare ai
partecipanti le note più salienti sui vari ambiti della chiesa parrocchiale e
del museo cittadino mentre a Pompu gli accompagnatori turistici saranno
impegnati a presentare, in reparti distribuiti in diverse salette di un caseggiato
a pian terreno, i vari processi della panificazione secondo le regole del
passato.
Il
dulcis in fundo sarà regolato a Turri nell’ampio salone di un ristorante adagiato
nella natura incontaminata del suo territorio.
La
partenza da Oristano è fissata per le otto e mezza mentre l’arrivo nella prima
località è previsto intorno alle ore nove e un quarto. I partecipanti al raduno,
nel numero di una ventina, troveranno comodamente posto nel pullman prescelto dagli
organizzatori.
Una volta
giunti a Masullas, il gruppo dei gitanti si incammina a passo spedito verso l’abitazione
di uno degli associati dove, nel piano terreno, verranno offerti aperitivi, pasticcini,
e caffè. A questa sontuosa anteprima dedicata alla colazione farà seguito la
visita alla vicina pieve, luogo di culto dedicato alla Beata Vergine delle
Grazie.
Ed
eccoci sul sagrato. Alle attente osservazioni della guida, che avrà il suo gran
da fare nell’illustrazione degli esterni e degli interni della parrocchia,
dovrò purtroppo rinunciare a causa di una sordità che non mi consente di
recepire chiaramente le fila del discorso. Per giunta mi ritrovo orfano di
entrambi gli auricolari e, fino a quando non saranno riparati, dovrò affidarmi
a ciò che vedo ed a quanto può impressionarmi.
Mentre
gli altri si trovano all’interno della chiesa, preferisco sostare sul suo
piazzale per osservare con molta attenzione la singolare ed intrigante facciata
ed il bianco campanile che la sovrasta dall’alto dei suoi trentasette metri.
Ho usato
il termine singolare in quanto il frontone, normalmente rappresentato dalla
superficie di un triangolo isoscele, assume la forma di in trapezio dove i lati
obliqui somigliano al lato ascendente ed a quello discendente della lettera
maiuscola Emme mentre la base minore funge da congiunzione tra i due vertici
con un leggera curvatura verso l’asse mediano. Il credere che detta lettera,
riscontrabile nello stile calligrafico denominato Rotondo, possa rappresentare l’iniziale
del nome della Vergine Maria, è solo frutto della mia immaginazione.
Sono
ricorso al termine intrigante per giustificare le difficoltà incontrate
nella lettura dell’iscrizione incisa sopra il portone d’ingresso. Mi auguro
comunque di essere riuscito a risolvere il quesito con la seguente traduzione:
QUESTA
OPERA E’ STATA REALIZZATA DI PROPRIA INIZIATIVA DAL SIGNORE DON FRANCESCO
MASONES NIN VESCOVO. 1694.
Preciso
che i cognomi dei genitori del vescovo della Diocesi di Ales-Usellus sono
Masones e Nin.
Riporto
intanto quanto risulta scritto nell’epigrafe:
HOC
OPPUS LABORAVIT MP A DNO DONFRAN.co M. ET NIN. EPO.1694.
In
forma corretta e sciolta si leggerebbe:
HOC
OPUS LABORAVIT M(OTU) P(ROPRIO) A D(OMI)NO DON FRAN(CIS)CO M(ASONES) ET NIN. E(PISCO)PO.
1694.
Detta
scritta, definita in caratteri lapidei lungo una sola linea orizzontale,
risulta affiancata da una duplice coppia di colonne con i capitelli che
sorreggono la base maggiore del timpano. Sulla linea mediana della facciata
risultano in chiara evidenza il rosone e il trigramma di San Bernardino.
L’intera
facciata, ad onore del vero molto bella, risponde alle regole dello stile
barocco.
Quando
i gitanti cominciano ad uscire dal tempio, colgo l’occasione per fare una
brevissima visita agli interni dove concludo con veloci osservazioni sulle
cappelle che si susseguono lungo la navata centrale. Archi a tutto sesto per la
maggior parte di esse ed archi ogivali per le cappelle che guardano più da
vicino il presbiterio. In alto a queste ultime si osservano volte a crociera
con corpose chiavi di forma tronco conica.
Prima
di chiudere con la visita alla chiesa parrocchiale tengo a precisare di non
aver avuto alcuna difficoltà nel decifrare quanto definito nell’epigrafe citata
per i seguenti motivi:
a) In terra di Marmilla sono di casa. In
particolare, nell’archivio storico della diocesi di Ales, con l’intenzione di
ricostruire i passi più importanti della vita di Antonio Tore, un mio
conterraneo tonarese vissuto tra gli ultimi decenni del Settecento e gli anni Quaranta
dell’Ottocento, ho bivaccato per una trentina di sedute da sei ore ciascuna. Come
religioso aveva svolto il suo ministero in diversi centri della Barbagia e, sempre
in età giovanile, aveva assunto le mansioni di vicario generale nella diocesi
di Oristano. Consacrato vescovo a Bosa fu incaricato di governare la diocesi di
Ales dove prestò i suoi servizi per circa un decennio. In seguito fu trasferito
a Cagliari per esercitare la delicata funzione di arcivescovo.
b) Ad Oristano, mia residenza da lungo
tempo, sempre inseguendo le orme dell’alto prelato, ho potuto utilizzare al
meglio i registri della mia parrocchia tonarese che ora risultano depositati
nell’Archivio Storico arborense. Per assolvere a questo faticoso compito ho
impiegato un tempo superiore ai dieci anni.
c) Forte dell’esperienza curata nei centri
diocesani di Oristano, Ales e Cagliari, ritengo di non aver mai trovato eccessive
difficoltà nell’esaminare i documenti di un passato che corre dalla fine del
Cinquecento ad oggi. Porto un esempio che fa riferimento alla iscrizione posta sulla
stele di una fonte tonarese e che ricalca in qualche passaggio l’epigrafe posta
in risalto sulla facciata della chiesa masullese. In essa viene riferito che l’opera
venne eseguita nel 1762 a merito del suo rettore e dei suoi tre viceparroci. In
questo caso i Cinque libri mi vennero incontro con la conferma degli estremi
anagrafici di tutti i religiosi citati nell’incisione.
Dopo
aver reso visita alla parrocchia il gruppo si ricompone ed è pronto per
indirizzarsi alla volta del vicino museo naturalistico. La maggior parte dei
componenti trova il modo, durante il trasferimento, di concedersi una breve
pausa nei pressi della casa colonica di Francesco, un signore che con molto
garbo si presta a brevi interviste sulla tenuta agraria che fronteggia la sua
abitazione. Tra noi e l’agricoltore insiste una recinzione che supera
abbondantemente il metro e mezzo d’altezza e sulla quale qualcuno si distende
con gli avambracci, dietro di lui in prima fila due ampi solchi di piantine di
melanzana, in seconda fila i cetrioli, in terza le zucchine ed al termine la
sua dimora. Alla sua sinistra una catasta
di legna d’ardere di olivastro e sparsi sul terreno strumenti del mestiere che
sanno di cesoie, roncole, zappe, rastrelli e pompe per l’irrigazione. Non vedo
piantine di pomodoro. Sono là in fondo, riferisce Francesco. Fra qualche
settimana, il raccolto di dette primizie onorerà le mense dei buongustai. I
fagiolini, intanto, hanno già fatto la loro apparizione in tavola da tempo.
Di
solito uso sempre coltivare amicizie con contadini e falegnami. Dagli uni e
dagli altri cerco sempre di carpire segreti sulle loro professioni. In questa occasione,
sento il dovere di rinnovare il mio ricordo per Peppino, un coetaneo deceduto un
semestre addietro. Due anni fa mi aveva regalato una penna modellata col tornio
su legno di castagno e sulla quale aveva inciso le sue iniziali. Una opera
d’arte, uno strumento che utilizzo con piacere nella stesura dei miei servizi.
Al
museo naturalistico, ospitato nelle salette dell’ex convento dei Cappuccini,
c’è tanto da apprendere intorno alla vasta e documentata esposizione di
minerali. Molti di essi sono presentati sia sotto l’aspetto compositivo che
cristallografico. I reperti recuperati principalmente nella zona del Monte Arci
fanno riferimento alle eruzioni vulcaniche del passato. L’ossidiana, minerale ad
alto contenuto di silicio, non può mancare in bacheca. E’ notorio che la crosta
terrestre del nostro pianeta, qualificata con l’acronimo SIAL, va ad accogliere come elementi il silicio e
l’alluminio. Per gli strati che portano al centro della terra, non interessati quindi
ai movimenti teutonici, valgono invece le definizioni SIMA E NIFE (Silicio,
Magnesio, Nichelio e Ferro).
Tra le
sostanze calcaree è in esposizione la calcite, un sale minerale i cui elementi
sono il carbonio, il calcio e l’ossigeno. Le guide al seguito si fanno apprezzare per l’esposizione
dei loro argomenti e per le risposte ai quesiti dei visitatori.
Con un
certo sforzo riesco ancora a coniugare la lettura di ciò che maggiormente
interessa le mie attenzioni con i lineamenti scolatici legati allo studio della
chimica. Ossidi ed idrati vanno d’accordo con i metalli mentre le anidridi e
gli acidi convivono con i metalloidi. Il termine di congiunzione finale è dato
dai sali. Ed in questo museo non si parla d’altro che di sali minerali,
Pompu,
paese di duecentoventi anime, è la seconda tappa del nostro excursus
mattiniero. Per arrivarci bisogna inseguire vaste distese collinari, ben
ormeggiate da piantagioni di ulivo ed olivastro, che si susseguono a perdita
d’occhio con sequenze rettangolari nelle aree curate dalla mano dell’uomo e in
ordine sparso e diseguale nelle superfici orfane dell’apporto umano.
Molto
interessante la visita condotta sui diversi tipi di panificazione elaborati secondo
le regole del passato. Il tutto viene presentato nei reparti allestiti nei
locali di un edificio comunale.
Naturalmente
si fa riferimento ai tempi in cui la macinazione del grano veniva attuata con
il concorso dell’asino, il quale, operando attorno alla mola con cerchi
concentrici, favoriva la rotazione del palmento intorno alla base fissa del
mulino. Con molta sincerità devo ammettere di non aver mai assistito alle
operazioni governate dall’animale. Eppure il contributo del paziente quadrupede
è stato determinante anche nel sollevamento dell’acqua dai pozzi. Le norie del
passato hanno ceduto il passo alle pompe idrauliche del presente.
A
Samugheo, in località Ponte Ecciu, avevo presenziato, una ventina di anni fa,
alla macinazione del grano operata con i palmenti fatti ruotare dall’acqua del
fiume.
Il mio
paese, con l’utilizzo dell’energia elettrica datata 1925, ha dovuto fare a meno
dei mulini ad acqua già dall’inizio degli anni Trenta. In quegli anni nella mia
abitazione di Via Vittorio Emanuele venne impiantato un mulino elettrico che
successivamente, verso gli inizi degli anni Quaranta, fu dislocato nella casa
dei Garau in Sa Discarriga, Devo precisare che mia madre, prima del 1936, anno
in cui convolò a nozze, aveva prestato il suo servizio nell’arte molitoria come
mugnaia.
Un ultimo
appuntamento è riservato all’immagine fotografica di un nuraghe quadrilobato
esistente ai confini del paese. Santu Miale è il nome che gli è stato assegnato
ab illo tempore. Miale sta per Michele e Mialita per Michela.
Così risulta dai registri parrocchiali tonaresi di inizio Seicento.
L’ultima
tappa si consuma in un ristorante di Turri. La capienza del salone può ospitare
comodamente sino a cento commensali. Nulla da eccepire sulla celerità dei
servizi e sulla bontà delle bevande e delle cibarie. Ad ogni inserviente ai
tavoli ho riservato il termine di Achillide, ossia Piè veloce Achille. E’
questo un neologismo che vale più di un complimento.