Memorie tonaresi in pratza manna

martedì 19 ottobre 2021

Viaggio in Puglia e Basilicata


 

Giovanni Mura 

Viaggio in Puglia e Basilicata

Sassi materani e tonaresi a confronto 

 

Castellaneta marina e l’albero del pepe

   Da oggi 12 settembre 2021 e sino al giorno ventuno sono ospite, grazie al gentile invito rivoltomi dalla Sezione 50 & Più di Oristano, del Villaggio turistico Blu Serena di Castellaneta Marina in provincia di Taranto.

   Il programma prevede, con partenza e rientro in detta località, brevi escursioni a Matera, Alberobello, Lecce, Gravina di Grottaglie, Castellana, Martina Franca, Locorotondo e Ostuni. Saranno dedicate al riposo le giornate di lunedì 13 e 20 del citato mese.

   Si tratterà di percorrere con il pullman, tra andata e ritorno, una media di 200 chilometri al giorno, eccezione fatta per la gita nel capoluogo del Salento, per la quale i tempi di percorrenza risulteranno raddoppiati.

   Le soste nei centri da visitare saranno molto limitate e ciò per conciliare il rientro al centro base per l’ora di pranzo.

   In anteprima, è necessario precisare che la Puglia poggia su un territorio decisamente pianeggiante. La sua forma geometrica, approssimativamente simile a quella di un rettangolo, presenta le dimensioni di quattrocento settantacinque chilometri per la lunghezza e una quarantina per la larghezza. La Sardegna e la Corsica, con riferimento alla prima dimensione, esprimono un risultato decisamente inferiore.

   Al fine di offrire al lettore una più puntuale rappresentazione geografica delle province pugliesi lungo la direzione Nord-Sud, mi sia consentito di configurare la regione come un immenso campo di ping-pong dove i giocatori Tizio e Caio, posizionati rispettivamente nei dintorni del Gargano, al confine con il Molise, e nei pressi di Santa Maria di Leuca, all’estremità dello stivale, fungono, ad inizio partita, da battitore libero e da ricevitore. Sempronio, giudice di linea, si sistemerà nei pressi di Matera, provincia della Basilicata ai confini con la Puglia. La retina che divide i due semi campi da gioco passerà per i centri di Castellaneta e della città lucana.

   Durante le fasi di gioco operate in questo Tavoliere, per l’occasione allungato sino agli estremi limiti della regione Puglia, i lettori di Pratza manna, nelle vesti di spettatori, potranno vedere rimbalzare la pallina di ping-pong sia sulle province settentrionali di Foggia, Barletta e Bari che su quelle meridionali di Brindisi, Taranto e Lecce. Per una migliore rappresentazione nel territorio di detti capoluoghi preciso che le rispettive latitudini, ossia le distanze in gradi dall’Equatore, sono le seguenti: Foggia 41°28’, Barletta 41°19’, Bari 41°8’, Brindisi 40°38’, Taranto 40°24’ e Lecce 40°21’. Raffrontando questi dati con quelli della Sardegna, la mia isola, rilevo che Cagliari con i suoi 39° e 13’ ha una latitudine inferiore a quella di Santa Maria di Leuca (39°47’), Oristano con 39°e 54’ è equidistante in gradi tanto da Santa Maria di Leuca quanto da Lecce mentre Sassari con i suoi 40°e 23’ staziona tra le posizioni di Brindisi e Bari. Da Foggia rileviamo che la sua latitudine è quasi pari a quella della città corsa di Aiaccio. Strano, ma vero!

   Lungo la ideale retina del campo da gioco operano attivamente i castellani, ossia i residenti di Castellaneta e della sua borgata marina, centri distanti l’uno dall’altro una quindicina di chilometri. Io, nelle vesti di viaggiatore stanco e impigrito per via di un’età sempre più distante dai 50 & più ma più vicina ai 100 meno, mi trovo in uno dei quattro villaggi turistici del gruppo Blu Serena.

   Oggi, lunedì 13, è una giornata da dedicare al riordino in camera della valigia e del bagaglio a mano, alla conoscenza dei vari punti di trattenimento offerti dalla accoglienza e soprattutto al riposo. Approfitto intanto, in mattinata, di concedermi una lunga pausa sotto l’ampia veranda che di fronte a me indirizza al bar, di fianco sulla sinistra al palcoscenico, di spalle al ristorante e dall’altro lato ad una costruzione in cemento armato di color caffè che, nella parte superiore, somiglia alla prua o alla poppa di un mercantile di stazza media. La struttura, sorretta da possenti pilastri che si elevano dalla base obliquamente, offre all’insieme un bel primo piano. Direi un primissimo piano se consideriamo il bel tondo realizzato nella parte più elevata della carenatura, l’intenso abbraccio dei rampicanti e l’eleganza offerta dagli alberi del pepe e dalle basse recinzioni curate in prevalenza da piante di gelsomino e mirto.

   Prima di accomodarmi nel punto di maggior ritrovo della clientela ho sostato brevemente negli uffici della reception, per il rilascio della carta prepagata per i servizi al bar, e nell’ampia hall, per una breve richiesta di informazioni ad una persona che di mestiere fa l’intrattenitore. Poltrone bellissime ma un po’ scomode. Più appaganti quelle messe a disposizione nel piano inferiore.

   Nella postazione sotto la veranda sono in tanti a godere dei benefici del dolce far niente. Alcuni operano in solitario, altri discutono con gli amici ma numerosi sono coloro che si sfidano giocando a Burraco. Io mi diverto ogni tanto a conversare con chi mi capita ma senza mai cadere nel tranello dei discorsi impegnati. La mente ha sempre bisogno di concedersi il giusto riposo ed io sono qui per questo. Le uniche mie preoccupazioni sono quelle legate alla buona custodia di tutti i documenti ed effetti personali quali la carta d’identità, la tessera sanitaria, il green pass, la chiave dell’alloggio in formato carta magnetizzata, la carta prepagata, il biglietto di viaggio per il ritorno, il cellulare, i soldi e le medicine. Quando qualcuno di questi elementi non risponde all’appello comincio ad agitarmi e ad annaspare sino al momento in cui l’esito positivo dato dalle pronte verifiche condotte su tutte le tasche del mio gilet non mi restituirà la tranquillità perduta.

   Stando nella mia postazione faccio difficoltà a capire in che direzione si trovi la spiaggia. Disponendo di una bussola risolverei il tutto in un attimo. Potrei anche interrogare il mio cellulare sui punti cardinali come anche potrei chiedere informazioni più precise ad uno dei camerieri che fanno servizio ai tavolini. Vedrò il da farsi più avanti.

   Tra i compitini della mattinata rientra la visita alla parte cava del mercantile dalle tinte color caffè, cioè all’interno del bastimento al disopra delle nostre teste, struttura che il presentatore addetto all’accoglienza ha definito con il termine di anfiteatro.

   Per inquadrare la geometria del villaggio e documentare al meglio i punti più salienti dell’insieme dovrò assentarmi per pochi minuti dalla mia postazione.

   Dietro il bancone del bar si configura un piccolo spazio sul quale gli addetti al piano e all’intrattenimento allietano le lunghe serate della clientela. Appena oltre si intravvede, tra il verde di una vegetazione molto curata e ricercata, una grande piscina caratterizzata nel centro da un dispositivo a fungo che alimenta incessantemente con acqua di mare l’invaso. Tutt’intorno all’impianto idrico scorre una piccola striscia riservata all’entrata e all’uscita dei bagnanti, al bagnino con la maglia rossa e all’istruttore che da bordo vasca mima gli esercizi ginnici da eseguire per chi si trova in acqua.

   Oltre lo spazio riservato al bagnasciuga sono ben definite, in spazi concentrici alla piscina, una seconda corona circolare, sulla quale sono adagiati sedie a sdraio, lettini e ombrelloni, ed una terza che ospita gli alberi del pepe, pepe rosa per esattezza. Queste singolari piante assomigliano tanto ai salici per le foglie pennate e pendule. L’infiorescenza è a grappolo ed i piccolissimi acini sono i frutti del pepe. Chiude il cerchio della zona acquatica una bassa ma fitta recinzione di arbusti di mirto e gelsomino. Oltre il recintato, ma a breve distanza, si intravvede la lunga schiera degli appartamenti riservati agli ospiti. Sono in tutto 243 e vanno ad occupare i 180 gradi dell’intera area. Gli altri 180 fanno capo alle sale impegnate nella ristorazione, alle cucine, ai locali riservati alle diverse attività logistiche, alla hall e alla reception. Posso stimare che l’intera struttura abitativa, con esclusione dei vari campi da gioco che insistono attorno, può insistere, per il tracciato che corre dal fungo della piscina sino all’estremo limite di ciascun appartamento, su di un raggio di centocinquanta metri.

   Mi riferiscono, mentre faccio ritorno al punto di ritrovo che d’ora in poi chiamerò anche punto K, che dal villaggio appena descritto a grandi linee, si può accedere a piedi oppure con il trenino con le ruote gommate agli altri villaggi del gruppo societario Blu Serena. Al Valentino, struttura pentastellata, riservata alla clientela dal portafoglio a più cifre, cercherò di fare una breve visita a giorni. Con la carta prepagata potrò permettermi il lusso di ordinare al bar un aperitivo o un digestivo.

   Le ore della giornata più appetibili per una sosta nella veranda sono soprattutto quelle del dopo cena e della mattinata quando non sono previste escursioni a lungo raggio.

   Quanto sia distante il mare da questa residenza estiva non lo so anche se qualcuno che vi è stato ha riferito che il tempo per arrivarci col trenino del villaggio si aggira sui dieci minuti e che vale la pena andarci. Lungo il tracciato, precisa una addetta al bar, si incontrano diverse borgate. La spiaggia, ben ordinata in diverse e lunghe file di sdraio e ombrelloni, non ha nulla da invidiare ai più bei litorali dell’Adriatico. Ci andrò se mi si presenterà l’occasione. La curiosità che si prova quando si va incontro a piccoli nuclei abitativi lungo percorsi poco frequentati dai mezzi di trasporto è molto intrigante. Non posso dimenticare le emozioni provate ad Ovaro, paese della Carnia, quando per la prima volta visitai alcuni dei quattordici rioni incastonati sulla montagna alle falde dello Zoncolan. So di essere stato a Muina, Chialina, Liaris e Mione. Paesaggi pittoreschi, addirittura fiabeschi. Quando vi ritornerò visiterò tutti gli altri. Si ripeteranno le stesse emozioni ed impressioni nel percorso che porta alla spiaggia di Castellaneta?

   Intanto, qualcuno mi riferisce che lungo il percorso che porta alla spiaggia non si incontra alcuna borgata o alcun casolare. Forse la persona alla quale avevo chiesto chiarimenti in merito aveva capito male, forse non era stato preciso il sottoscritto nel porre la domanda o forse ancora il disguido era stato creato dalle mascherine.

   Fra gli altri compitini della mattinata rientrava la visita alla struttura in cemento armato color caffè. Salito al piano della reception, uscito dalla porta veneziana, svoltato a sinistra e superati i vari gradini che portano al lastrico solare mi sono trovato di fronte ad un palcoscenico che nulla aveva a che fare con l’anfiteatro citato dal presentatore di turno nel punto K.

   La forma di mercantile vale solo per metà mentre l’altra metà, che è rovesciata, determina la volta della hall sottostante. La larghezza massima di questa strana e moderna copertura architettonica è di trenta passi.




Matera



   Il gruppo di cui faccio parte è già pronto per salire sul pullman che ci porterà a Matera. L’appuntamento è fissato per le ore otto sul piazzale antistante l’ingresso alla reception.

   Testimoniano della nostra puntuale presenza diversi alberi di pepe, alcuni di pino ed altri di eucalipto. Il verde domina dappertutto senza generare alcun contrasto con le tinte color caffè della struttura ad arco dell’ingresso.

   Si corre ora sulla superstrada che porta in Basilicata a velocità sostenuta con l’autista che, nella presentazione dei paesi che incontriamo, non solo fa da cicerone, con brevi cenni di economia e di storia, ma anche da arguto espositore del curioso comportamento tenuto a bordo del mezzo da certe persone durante le gite. La vera guida la incontreremo a Matera in Piazza Vittorio Veneto.

   Sfilano intanto sotto il nostro campo visivo i nuovi impianti di agrumeti, di uliveti e di altre piante da frutto alternandosi, quasi con distacchi regolari con le colture di ortaggi e di foraggi. La presenza dei mezzi meccanici per il dissodamento e la concimazione della terra è assicurata un po’ dappertutto. La lentezza dei loro movimenti garantisce sempre il pieno successo operativo. La rapida lettura dei terreni arati, ormai resi orfani del manto vegetativo che li ha interessati per più stagioni, mette a nudo la vastità dei fondi medesimi attraverso la curatissima recinzione dei muretti a secco. La bellezza di questi ultimi, costituita da pietra calcarea che i pugliesi definiscono con il termine di tufo, è data per ogni fondo dalle costanti dimensioni in altezza e larghezza e dalla disposizione delle pietre più piccole nella elevazione del muretto e di quelle più grandi nella fase di copertura. Visti di profilo danno l’idea della lettera p maiuscola dell’alfabeto greco. Pi greco tanto per intenderci o simbolo di produttoria per i cultori di scienze esatte. Presumo che la costruzione di dette opere murarie sia sempre affidata alle mani esperte di operai specializzati.

   Ed eccoci a Matera in Piazza Vittorio Veneto, il più bel biglietto da visita cittadino. La guida, dopo essersi presentata e dato il suo benvenuto al gruppo di cui faccio parte, è già pronta a condurci verso i più antichi quartieri cittadini: Sasso Caveoso, la Civita ed il Sasso Barisano. Il secondo rione, posizionato nella parte più elevata, funge da elemento di separazione tra i due grandi incavi che ci accingeremo a visitare secondo l’ordine precisato.

   Per il primo dovremo accontentarci di osservarlo dall’alto di una balconata che offre la visuale al grande insieme con possibilità di fare discrete letture ad occhio nudo. È tutto di fronte a me, è tutto sotto di me. Ho l’impressione di trovarmi nella parte più elevata di un grande anfiteatro dove le comparse, che fungono da nuclei residenziali, sono distribuite in ogni spazio possibile e immaginabile. Le abitazioni, addossate ed affiancate le une alle altre, sono tutte arroccate in difesa delle caverne madri ma in ordine sparso. Da quando l’amministrazione locale ha imposto il trasferimento degli abitatori in sedi più idonee alla convivenza, ogni alloggio è diventato nel tempo una casa museo.

   Il sistema delle cisterne comunicanti tra loro dall’alto in basso ha sempre garantito nel passato e sino ai primi decenni del Novecento gli apporti idrici necessari ai fabbisogni della popolazione. Sotto di me, ad una distanza di una cinquantina di metri intravvedo gli ingressi al Palombaro, il pozzo che sino al 1925 ha garantito la soluzione del problema acqua a tutta la città. Oggi, questa opera di alta ingegneria, che si estende su un percorso di notevole ampiezza, è molto appetibile solo dal punto di vista museale e turistico.

   La bellissima chiesa posizionata nel punto più elevato del Sasso Caveoso, quasi all’estremo limite della Civita, ad una distanza di circa trecento metri dal mio belvedere, è la Cattedrale. Sotto di essa si distingue benissimo un luogo di culto interamente scavato nella roccia.

   La guida ci informa che, per arrivare sul piazzale della chiesa principale, bisognerà inseguire un percorso che fa capo alla Civita, il secondo rione, il quartiere più importante e dominante nella storia del passato materano. Una volta giunti sul posto avremo modo di rivedere dal belvedere della Cattedrale altri tratti del primo Sasso e tra questi la balconata che ci aveva accolto all’inizio della nostra visita.

   Il tutto mi turba ma non mi incuriosisce. Finora ho osservato con molta attenzione i passaggi più salienti della cruda realtà di un passato non troppo lontano. Sembra di aver percorso un girone dantesco.

   Penso anche alla mia Matera sarda che sta alle stesse latitudini ma più in alto in montagna dove le condizioni di vita non erano molto dissimili da quelle dei quartieri oggetto di visita almeno fino al 1927, anno in cui il mio paese fu servito dall’energia elettrica e nei decenni successivi dalle utenze a domicilio dell’acqua e dei servizi igienici primari.

   Mi trovo ora nel Sasso Barisano. Il primo Sasso sta alle mie spalle. Il quartiere dominante, la Civita corre più in alto. Ora si scende con tanto di raccomandazioni della guida a prestare le dovute attenzioni nei passaggi più insidiosi del tracciato.

   A rimettermi un po’ su dal magone che mi ha attanagliato sino a poco fa, sta provvedendo la presentazione di un quadro scenico che ruota attorno alla figura di due innamorati, immortalati abilmente da un bravo artista con una fusione in bronzo, che manifestano le loro tenerezze, con la consegna di un fiore da parte del ragazzo e di un bacio mimato sulle labbra da parte della donna in sosta per una presa d’acqua alla fontanella pubblica. Altri due giovani, a cavalcioni su di un muretto, attendono i momenti in cui si faranno avanti con la brocca anche le loro ragazze. Vedo che ad emozionarsi per tali esplosioni d’affetto non è soltanto il sottoscritto. Le comitive di turisti di passaggio, guida compresa, alla vista di tale capolavoro si fermano d’incanto, stazionano a lungo sui personaggi e sono in molti ad accarezzarli sulla fronte e sulle spalle con partecipazione e trasporto.

   Il tempo passa in fretta ed il pullman è pronto a riportarci a Castellaneta marina dove si procederà intorno alle tredici alla consumazione del pranzo e più tardi alla solita siesta in camera. La serata si concluderà con la cena e con il ritrovo di tanti componenti dei vari gruppi presso il punto K del Calanè. La distensiva partecipazione al gioco di carte denominato Burraco e la gratificante consumazione a costo zero delle bibite offerte al bar serviranno a stemperare le tensioni accumulate sul lungo viaggio e sulle visite in terra lucana.

                




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I Sassi del mio paese

   I Sassi del mio paese, centro arroccato sulle falde estreme del Gennargentu, sono Arasulè, Toneri e Teliseri. La maggior parte degli abitanti di dette frazioni ha deciso nel corso di questi ultimi cinquanta anni di abbandonare i propri casolari per emigrare altrove, vuoi per motivi di lavoro e vuoi per seguir virtute e canoscenza. La minoranza invece ha preferito restare in loco trasferendosi nell’altopiano dove si ritiene che la vita sia migliore. Nessuna migrazione imposta dall’alto ma una semplice e motivata dichiarazione di abbandono da parte dei residenti.

   I guardiani dell’ultima ora delle vecchie abitazioni sono ridotti a poche centinaia di persone. Giorni addietro ho rivisto il mio paese dall’altopiano d’oro, accezione quest’ultima utilizzata un secolo fa dal Lawrence durante la sua visita in Sardegna, e ho fatto delle considerazioni che mi sono tornate utili in un confronto con i Sassi materani.

   La balconata che mi ha permesso di visualizzare il Sasso Caveoso può equivalere al lungo belvedere che circuisce Su Pranu, il rione cresciuto a dismisura sull’Altopiano.

   Al quartiere denominato Civita, che funge da elemento separatore tra i due grandi Sassi materani, si può, contrapporre l’antico rione di Toneri al quale fanno capo la chiesa parrocchiale, la lunga via Monsignor Tore ed i ruderi della ex parrocchia di Santa Anastasia. Di fianco sono posizionati gli altri due vicinati.

   In questa cartolina vista dall’alto rivedo con sgomento la mia Matera fatta di abitazioni che custodiscono in solitudine le suppellettili della vita quotidiana dei tempi andati. Sono tutte case museo ormai. E fra le apparecchiature utilizzate dagli artigiani troverai ancora banchi e morse per la fabbricazione dei campanacci, forni in muratura per la cottura dei torroni, telai per la fabbricazione dei tessuti mentre fra gli strumenti utilizzati in agricoltura e nella lavorazione del legname osserverai ancora, appeso alle pareti, quanto di meglio hanno saputo abilmente forgiare e lavorare le categorie dei fabbri e dei falegnami.

   Quando nei primi anni Sessanta illustravo questi tipi di attività a Ildebrando Imberciadori, mio professore di storia economica, ebbi la sensazione di non essere creduto. Soltanto in seguito ad una sua meticolosa visita a Tonara, nome del mio paese, fui gratificato dal suo benestare.

   Al pozzo Palombaro che assicurava alla città di Matera l’acqua necessaria ai suoi fabbisogni posso far riscontro con la fontana a più bocche che sta a un centinaio di metri sotto il mio punto di osservazione. Il suo nome è Morù, una sorgente che ha il potere di fare impazzire le persone che bevono le sue acque. Io ne ho sempre bevuto e quando si presenta l’occasione non ostento alcuna diffidenza. Penso che questa leggenda finirà nel tempo avvenire col fare impazzire proprio i numerosi turisti che faranno visita alla fonte. In definitiva tutti pazzi per Morù.    A proposito di cavità, in ambito tonarese, ce n’è una sola. Il suo nome è Uccaedrò. E anche su questa grotta ci sono delle leggende che sconfinano nel fiabesco. 

                                                                   

 





Alberobello

   Oggi, mercoledì 15 settembre, si parte per Alberobello. I tempi di percorrenza superano di poco l’ora.  La geometria dei muretti a secco si ripete in continuazione e si perde a vista d’occhio nella profondità di un territorio votato egregiamente all’agricoltura. Le piantagioni dei vigneti, uliveti ed agrumeti sembrano darsi il cambio ad intervalli regolari nella prima parte del tracciato per poi cedere il passo nella seconda parte alle piante di rovere e di leccio. Stiamo salendo verso l’Alta Murgia.

   Intanto qualcuno del gruppo, fatto l’avvistamento nei pressi di una fattoria di un primo trullo, non manca di esultare e di additare agli altri la singolare casetta a copertura conica con l’espressione sillabica che in dialetto sardo corrisponde a mih e che in italiano sta per guarda o guardate. Noi sardi, senza accorgercene, ricorriamo spesso a tale termine, anche quando ci esprimiamo in italiano. Tale vocabolo diventa più colorito, quando lo utilizziamo per indicare a chi ci ascolta la presenza di una persona o di un oggetto. In detti casi il nostro mih diventa nella parlata italiana degli isolani millo (eccolo), milla (eccola), milli (eccoli) e mille (eccole). I corrispondenti lemmi dialettali sarebbero middu, midda, middos e middas. Nel linguaggio dialettale barbaricino, per la parola eccolo viene utilizzato anche il termine laelloddu. Assicuro in cuor mio che alla vista dei primi trulli ho partecipato a me stesso in assoluto silenzio il seguente messaggio: Laelloddas is domigeddas (eccole, le casette).

   In dialetto sardo campidanese, per richiamare l’attenzione degli altri, si ricorre al vocabolo allah (accento tonico sulla prima a). È l’equivalente di mih. Da diversi componenti del gruppo sento esclamare Allah un trullo, mih un altro.

   Quando si arriva ad Alberobello la guida ci informa che, per arrivare al centro storico, la strada da percorrere a piedi supererà la lunghezza di cinquecento metri e che il mezzo di trasporto ci aspetterà nell’area riservata ai parcheggi.

   Dei 1650 trulli esistenti in detto centro ne visiteremo solo alcuni e naturalmente quelli più interessanti dal punto di vista storico.

   Non ci vuol tanto a capire che le costruzioni con maggiore capienza favoriscono migliori comodità e qualità di vita. In definitiva esistono trulli grandi e trulli piccoli. Succede anche, ad evitare di operare in ambienti molto ristretti, che qualche proprietario abbia deciso in passato o decida nel presente di acquistare l’edificio o gli edifici dei vicini con la risultante di un’apprezzabile ed accogliente dimora. Durante la mia breve sosta ho visitato ambienti con una, due, tre e quattro camere. Il principio dei trulli comunicanti consente il passaggio da una costruzione all’altra allo stesso modo con cui si va da un vano all’altro di un appartamento. Nella norma il primo ambiente segnala sul pavimento, attraverso una botola, la presenza di una cisterna mentre nella volta pone in evidenza una piccola apertura atta ad accedere al giaciglio dei più piccoli; il secondo è adibito a camera da pranzo, il terzo a camera da letto ed il quarto a disimpegni vari.

   Prendendo ad esempio la nota filastrocca sul calore prodotto dalla legna d’ardere che nella precisazione nelle prime quattro strofe riferisce il seguente andante:

   Una legna non fa fuoco,

due legna ancora poco,

tre legna un focherello

quattro legna un foco bello

possiamo servirci dello stesso motivetto anche per i trulli, ma con le seguenti puntualizzazioni:

   Un trullo fa ben poco,

due trulli ancora poco,

con tre trulli c’è del bello

quattro trulli ancor più bello.

   Belle da vedere queste singolari costruzioni. Ne avrò visitato una decina. È già tanto se penso che dentro i nuraghi, e sono più di settemila i censiti, ci sono entrato poche volte.

   Piacevole anche la visita al trullo con la coppia di vecchi proprietari intenta a favorirci un rinfrescante assaggio di liquori d’alto pregio.

   Soddisfatte tutte le nostre curiosità ed appagati per l’accoglienza ricevuta dalle guide e dagli addetti alla presentazione dei prodotti locali siamo pronti a rientrare a Castellaneta marina dove gli alberi del pepe ci aspettano per il pranzo.













Lecce

   Di buon mattino si parte per il profondo Sud. Il tempo di percorrenza ridurrà parecchio la nostra permanenza nel capoluogo del Salento. Non verranno meno, in ogni modo, i riferimenti storici ed economici sulla città di Lecce che la guida ci illustrerà stando a bordo pullman. Il suo racconto, interessante ed approfondito, lascia spazio anche alla presentazione delle città che incontriamo sul nostro percorso: Brindisi e Taranto. Per quest’ultimo centro ne sottolinea il punto di criticità del momento e le incognite che pesano sul futuro della sua economia. La sua testimonianza è avvallata appieno da quanto colpisce il nostro campo visivo. Tutt’intorno, ben distribuiti in un territorio immenso, sfilano al passaggio del nostro mezzo altissime ciminiere, imponenti serbatoi di forma cilindrica e capienti depositi formato hangar. In fondo alla nostra destra si defilano in ordine sparso le numerose gru della zona portuale. Quasi all’uscita della città vedo una ciminiera che fuma di gran lena. Provo un senso di stizza.

   Ed eccoci sul piazzale antistante alla porta d’ingresso di Lecce. Da questo punto in poi si andrà sempre a piedi in città. Lo stile barocco ci terrà compagnia nella lettura delle antiche costruzioni sia pubbliche che private. La presenza dei telamoni, dei pupi alati e dei rapaci è una costante che non sfugge neanche al più modesto intenditore di architettura. Con la testa o con le possenti spalle fanno lo stesso servizio svolto dalle Cariatidi.

   Le chicche migliori vengono presentate tanto all’interno quanto agli esterni del Duomo e dell’Episcopio dove la fila per avere un biglietto d’ingresso è sempre lunga.

   Nella piazza si avverte in molti il senso dell’attesa, il senso dell’attenzione, il senso dello sgomento ed il senso dell’appagamento.

   Nei pressi della scalinata del Duomo un signore di colore tenta con le buone maniere di piazzare un manufatto in legno lavorato con la sgorbia. È l’unico articolo in suo possesso. Deve trattarsi di un pezzo pregiato. Vedo che con un semplice movimento della mano l’oggetto si trasforma da comune piatto in un portavivande. È questa è un’operazione che compie ogni qualvolta incontra dei gruppi di turisti. Spesso il disinteresse di questi ultimi si manifesta chiaramente e pesantemente con delle goffe veroniche all’indirizzo del rivenditore.

   Sul lungo percorso che ti riporta al pullman trovi sempre giovani studenti che ti offrono dei tarallucci. Sono delle specialità salentine offerte in omaggio ai turisti. Chi apprezza queste degustazioni avrà il benservito in negozio.

   Il tempo passa in fretta. Penso che gli alberi del pepe siano in apprensione per il nostro rientro. Potremmo correre il rischio di saltare il pranzo. Ma ciò non accadrà.


 







Gravina di Grottaglie

   Oggi, venerdì 17, si va a Gravina di Grottaglie. Il tempo è sempre bello qui al Sud. Il nostro pullman macina i soliti duecento chilometri giornalieri tra paesaggi ripetitivi che sanno sempre di nuovi impianti d’alberi da frutto e di campagne ben recintate da eleganti muretti a secco formato pi greco.

   A Gravina di Grottaglie, così come negli altri centri visitati, c’è sempre qualcosa di molto interessante che, per ragioni di tempo, non riusciremo a vedere. Lo scenario proposto dalle gravine ci verrà purtroppo a mancare. La Treccani così definisce questa singolare conformazione terrestre: Vallone a forma di crepaccio, scavato nei calcari, profondo fin oltre 100 metri, con pareti scoscese, distanti tra loro fino a 200 metri.

   Ci dovremo accontentare di vedere la sedimentazione di un crepaccio all’interno del piano sotterraneo di una abitazione privata. I costruttori durante le fasi di scavo hanno volutamente deciso di risparmiare tale sbancamento per una bella mostra agli appassionati e curiosi di detti movimenti carsici. Quello che noi ammiriamo dal marciapiede, dietro un’ampia vetrata del piano sottoterra dell’abitazione è un piccolo campione di gravina.

   Prima di assecondare il desiderio delle signore del nostro gruppo di acquistare qualche oggetto in ceramica per la casa e per i conoscenti, la guida segue il tracciato più importante del centro storico dove le chiese ed i luoghi religiosi favoriscono egregiamente, con i loro stili architettonici, i più giusti approcci con i visitatori. È di un certo pregio la facciata in veste neoclassica della chiesa di San Francesco di Geronimo. Sono di ottima fattura le quattro lesene a più scanalature che, con i rispettivi capitelli ionici, sorreggono il basamento del frontone. Da raccomandare gli interni del luogo di culto dove alla sinistra sono esposti il simulacro del Santo ed il calco del suo volto. Esternamente al santuario, ben protetti da un vetro blindato, vi sono i resti penzolanti della porta d’ingresso della sua abitazione. Il missionario in oggetto, che aveva coltivato la sua vocazione principalmente a Napoli, era nato a Grottaglie nel 1642.                  

Ed ora terracotta in vasi, vasetti, brocche, piatti e oggetti vari per tutti, in un percorso da fare in discesa per una prima lettura e da rifare in salita per l’eventuale compera.





                                                                  





Castellana

   Per oggi, sabato 18 settembre, è prevista la visita alle grotte di Castellana. Sappiamo, per essere già stati avvertiti che, per accedere alle caverne, bisognerà pazientare agli ingressi per tutto il tempo necessario all’acquisto dei biglietti, alla verifica del lasciapassare Anti Covid e al deflusso degli ingorghi creati dalle lunghe file.

   I disagi causati dallo stare in piedi a lungo ed in spazi ristretti interessano chicchessia ma soprattutto gli anziani. L’attesa è comunque compensata dal clima di festa propinato da un signore di età matura che, comodamente seduto sulla sua seggiola, omaggia i turisti con canzoni napoletane. È un bravo intrattenitore in quanto, oltre cantare e suonare l’organetto intervista qualcuno della cordata umana che gli passa di fronte. Alla richiesta ad uno del gruppo sulla nostra provenienza ci tiene a precisare, appena avuta la risposta, che siamo dei sardagnuoli. Esattamente risponde l’intervistato. Inutile disquisire sul termine usato. Vale sempre la buona fede.

   E si continua ad andare avanti. Per noi anziani c’è la possibilità di usare l’ascensore, mezzo che in brevissimo tempo ci condurrà in grotta a quota meno settanta metri. La prima caverna che incontriamo ha una conformazione a uovo con in alto una calotta di forma circolare, con un diametro approssimativo di una decina di metri, che scruta il cielo. Forse gli speleologi avranno fatto i primi test d’ingresso partendo da questa fenditura a forma di oblò.

   Le guide raccomandano di prestare molta attenzione al percorso e per i più alti vale il consiglio di inchinarsi a dovere nei passaggi a volte basse. C’è anche il pericolo di andare a sbattere la testa contro qualche insidiosa stalattite.

   Non fa freddo. A Postumia, prima dell’ingresso in grotta, viene consegnato ad ogni visitatore un pesante cappotto da restituire all’uscita. Anche a Torino, prima della visita al cunicolo in cui perse la vita il minatore Pietro Micca durante l’assedio francese del 1706, viene dato in prestito un indumento pesante. Qui, nelle grotte di Castellana non ce n’è bisogno.

   Una delle ultime cavità del nostro breve percorso è denominata la caverna della civetta. Detto rapace, posizionato su una stalagmite a circa tre metri dal piano base, sembra vigilare dalla sua postazione sugli ultimi passaggi in grotta dei visitatori.

   L’ascensore o meglio i due ascensori ci riportano all’aria aperta in pochi secondi.

   Due eventi di particolare interesse naturalistico colpiscono la mia attenzione all’uscita dalle caverne:

a)      lo svolazzare continuo ed incessante di un insolito ma nutrito schieramento di api attorno ad un tappetino di terra nera con fiorellini bianchi. È un buon segnale. Guai se questi insetti verranno a mancare!

b)      l’esposizione nella parete di un negozio di articoli per turisti di una tarantola imbalsamata. È un ragno che incute paura anche da morto. Può stare, ma con difficoltà, nello spazio compreso nell’inarcamento delle dita maggiori delle nostre mani, pollice contro pollice e indice contro indice. Il suo morso è micidiale. Per lenire i dolori dei malcapitati si ricorre in Puglia a dei riti singolari che nulla hanno a che fare con la medicina. Si tratta del ballo della taranta. Anche in Sardegna si esorcizzava il male con il ballo de s’argia, una consuetudine andata in disuso già da una sessantina d’anni.

   E si ritorna a Castellaneta marina. La distanza che intercorre tra gli alberi del pepe rosa, fedeli vigili di quanto succede in entrata e in uscita dal villaggio, ed il posto a tavola non supera i cento metri. È sufficiente superare la porta veneziana, attraversare la hall, entrare nella sala ristorante, bonificare le mani e presentarsi alle numerose postazioni self-service.

   Per le portate non devi fare nessuna fila, al massimo di fronte a te potranno esserci una o due persone. È un approccio con i vivandieri che avviene in parallelo e non in serie, come nei collegamenti elettrici. Sfruttando questa possibilità puoi sbizzarrirti come vuoi magari iniziando a servirti allo sportello dei dessert per finire con quello degli antipasti.


   Non sarai rimproverato per queste possibili bizzarrie, semmai per la dimenticanza della mascherina. Sei comunque sotto la tutela dei solerti camerieri e del loro maître. 



                                                                                    




Martina Franca, Locorotondo ed Ostuni

   Salutiamo di nuovo gli alberi del pepe rosa con un arrivederci al tardo pomeriggio per la cena. La visita ai centri di Martina Franca, Locorotondo ed Ostuni non ci consente oggi il rientro per l’ora di pranzo.

   Martina Franca ci dà il benvenuto dal grande portale d’ingresso della sua città, una città ricca di storia, d’arte e di cultura. Non si fatica tanto ad arrivare al centro storico dove una bella piazza ci accoglie con la sua chiesa, i suoi monumenti ed i numerosi turisti che si compiacciono di fotografare di tutto e di più. I tavolini dei bar sono tutti occupati, compresi quelli esposti nelle parti soleggiate. Anche i componenti del nostro gruppo non esitano a farsi avanti per collezionare immagini su immagini sui loro cellulari. Io mi soffermo con curiosità ad osservare la meridiana solare esposta sulla facciata principale della Torre civica. Trovo divertente fare una lettura dell’ora riportata sul quadrante dall’ombra dello stilo e compararla con quella del mio orologio che segna le dieci e cinquantasette. I risultati anche se approssimati sono soddisfacenti. La latitudine riportata in alto alla meridiana è di 40 gradi, 42 primi e 18 secondi. Sassari, capoluogo di provincia più a nord della Sardegna, registra coordinate quasi coincidenti.

   Di nuovo in pullman per arrivare a Locorotondo un paese in alto sulla collina da raggiungere a piedi dopo una lunga e faticosa salita. Si va a mangiare al sacco nei giardinetti pubblici dove i servizi igienici, che assicurano molto ben tenuti, latitano per il periodo che corre dalle tredici alle quindici. Per le urgenze del caso si può comunque ricorrere ai diversi bar esistenti nella piazzetta. La visita alle bellezze di detto centro non sarà purtroppo possibile a causa di imprevisti vari.

   E si parte per Ostuni, ultima tappa del nostro viaggio in Puglia, quasi una ciliegina sulla torta. Il bianco intenso espresso dalla facciata delle case è una costante che vale per tutta la cittadina. È un colore che si combina a menadito con le tinte del cielo e quelle dell’azzurro mare. È da diversi secoli la città bianca per eccellenza. Esattamente dal 1656, anno dell’epidemia che interessò tutto il nostro Meridione. Ad Ostuni, per scongiurare il pericolo di una maggiore diffusione della peste si decise di imbiancare con la calce le pareti di tutte le abitazioni esistenti. Tale prodotto, data la sua azione basica, aveva, ed ha tuttora, il compito di impedire la proliferazione dei batteri.

   Al mio paese, quando i borghi italiani erano ancora asserviti da un’economia di tipo particolaristico, la calce viva veniva prodotta in loco e commerciata a piè di fornace. Il materiale usato per il forno era una pietra calcarea che dopo la cottura ad altissima temperatura favoriva la formazione della calce viva. Una volta regolato l’acquisto, ciascuno provvedeva a trasformare con l’acqua la calce viva in calce spenta o calce idrata ed a servirsene per l’imbiancatura della sua abitazione o per impastare la sabbia con il cemento. Nelle fornaci di Su Toni la calce viva non veniva venduta sfarinata ma in ciottoli. Ricordo benissimo che, quando ero giovanissimo, provvedevo di persona a servirmi di questi Sassi tonaresi che scivolavano dalla bilancia del rivenditore direttamente nel mio zainetto. Si era intorno alla prima metà degli anni Cinquanta.

   Ed ora si sale sui gradini e sulle rampe che portano alla Cattedrale. Ne vale la pena portarsi sull’anonima piazzetta che da un lato presenta la facciata della chiesa col suo immenso rosone, dal lato opposto comunica con un sottopassaggio e ai fianchi evidenzia, oltre alla strada che ci ha portato quassù, il Seminario e il Palazzo Vescovile, palazzi che fungono da contrafforti al ponte sospeso sulla via sottostante.

   Le chicche più interessanti sono quindi il rosone ed il ponte sospeso. Il primo, considerato il più grande d’Italia, può vantare, stimando ad occhio e croce un raggio di tre metri e mezzo, una copertura approssimativa di quaranta metri quadri. Il secondo, che, come abbiamo già precisato, poggia i suoi fianchi sui primi piani degli edifici religiosi, assomiglia tantissimo al Ponte dei Sospiri di Venezia. La guida tiene a precisare che La Loggia, così viene chiamata quest’opera, è stata costruita su ispirazione del famoso ponte veneto.   Con Ostuni, tra scalinate pregevoli ma scivolose e colori dal bianco eterno delle facciate e dall’azzurro intenso del mare, si chiude questo interessante viaggio in terra di Puglia e Basilicata.

   Ci salutano festosamente dall’ingresso del Villaggio alcuni inservienti, tra i quali è riconoscibile l’abile e piacevole conversatore dai capelli tirati all’indietro da un vistoso laccio.  Singolare il mesto arrivederci degli alberi del pepe che ci salutano, a mo’ di inchino, con le loro fronde spioventi.