Memorie tonaresi in pratza manna

venerdì 30 aprile 2021

LA BALLATA DI TONARA

 

La ballata di Tonara

 

   Da Miele amaro, Edizione Il Maestrale, prendiamo in esame, punto per punto e con traduzione in dialetto locale della versione italiana e con qualche nota di commento, i vari passaggi della Ballata di Tonara di Salvatore Cambosu.

Primo passaggio: S’abba ‘e Toni.

   Non bere, cristiano, ancorché sapiente come Salomone, non sfiorare, non lambire nemmeno con la punta della lingua l’acqua di Sutoni e l’acqua di Sulaco; esse dissetano più di ogni altra al mondo, ma dissennano.

   Non bufese, cristianu, mancari sabiu che a Salomone, no isfiorese nemmancu cun sa punta de sa limma s’abba de Su Toni e s’abba de Su Acu; issas faent passare su sidi megnus de onni atera abba de sa terra ma faent perdere su sentidu.

   Nota: Non so da quanto tempo l’acqua di Morù, sorgente situata alla base del precipizio di Su Toni, venga additata con la nota nomea. Sarebbe interessante poterlo sapere. Per quanto riguarda le mie libagioni alla fonte, sempre ottime ed abbondanti, posso ritenermi più che soddisfatto. Forse sono un asintomatico.

Secondo passaggio: Rivalità tra le principali frazioni.

   E se tra castagni e noccioli che ti guardano in silenzio mentre passi, entri in questo paese, che mi chiamo Tonara, sappi che, cosa rara, sono due discordi anime in un corpo, come si dice del lupo: quartiere alto e quartiere basso, truci e duri, duri e truci.

   E si imucas in custa idda chi di nanta Tonara, cun is castagnas e is lintzolas chi ti castiant in asseliu, depes ischire ca, cosa rara, in d’unu matessi corpu, comente si nada po su lupu, bivint in disacordiu duas animas: iginau ‘e susu e iginau ‘e osso, meletzosos e tostos, tostos e meletzosos.

   Nota: L’autore fa riferimento ai forti dissidi esistenti tra gli abitanti dei maggiori rioni tonaresi, Arasulè e Toneri, nel periodo che corre sino alla fine degli anni Trenta. Posso testimoniare, in qualità di cittadino della frazione inferiore, che, dagli anni Quaranta in poi, questi dissapori sono completamente cessati.

Terzo passaggio: Periodo dell’allattamento

   E se vedi bimbi in culla dormire come dormono le pietre e senti nell’aria effluvio d’acqua-ardente, esso è dai loro ciuccetti e dalla loro bocca mezzo aperta di vecchiettini sdentati. E sono quasi figli senza madre.

   E si biese pipios in su brassolu ormire comente crastos e s’aria est impestada de ispiritu de abbardente, custu dipennede da is tzimignones issoro e dae sa ucca mesu aperta a moda de betzigeddos identaos. Parent figios chenza mama.

   Nota: Dall’inchiesta condotta nel 1928 dal maestro tonarese Giuseppe Tore, lavoro rivisitato nel 1995 dal professor Gianfranco Tore in Tradizione e modernità a Tonara, alla voce Allattamento, pagina 52, risulta che quando il neonato si ammala e piange, le comari sono pronte a suggerire i rimedi, che si riducono al caffè, all’acquavite, al latte con l’acquavite insieme e al rimedio contro il malocchio. Mi riferisce un mio coetaneo che anche agli inizi degli anni Quaranta le donne, per tranquillizzare i loro poppanti, facevano ricorso ad un ritaglio di stoffa imbevuto di acquavite con zucchero. Era il succino utilizzato in quei tempi. Cun d’unu zappulu, issustu in abbardente cun tzuccuru, su pipiu s’appagiaiada.

Quarto passaggio: Lavori e svaghi delle donne nel periodo dell’allattamento

   Mentre essi scontano l’ebrietà nel sonno, le madri sono nell’orto a lavorare, o al fiume a lavare e cantano come condannate, o saranno nel vortice delle danze…

   Istepetantis chi is pipios istudant s’imbriaghera, is mamas funti traballanno in s’ortu, o samunanno is contos in s’erriu cantanno commente cunnennadas; o anta essere in su prus bellu de is ballos…

   Nota: Notevole l’impegno profuso dalla donna nella cura dell’orto e del lavaggio dei panni. Da non sottovalutare la partecipazione ai balli pubblici di carattere rionale.

Quinto passaggio: Baldanza e balentia dei giovanissimi del paese

   Ragazzetti barcollano e vengono alle mani, trascendono alla rissa e al coltello, soprattutto alle feste sante, emuli dei carrettieri imbevuti a guisa di stoppini, tra fornaciai incalcinati, tra boscaioli che hanno odore e colore di alberi abbattuti. Dense le nebbie invisibili vanno nell’aria con odore d’anidride dalle fornaci che fumano

   Pitzocheddos, ispecie in is festas mannas, alluchettaos comente a is carrettoneris, annant a ispertas e brigant cun i sa leppedda. Intemesu duada trassa de forrargios incartzinaos e de segantinos cun fragu e colore de is matas segadas. S’aria est affumigada da is popores iscarrigaos dai is forros in attividade.

   Nota: Le citazioni del Cambosu trovano conferma nelle notazioni del Tore quando l’insegnante riferisce alle voci Il bere e l’alcolismo di pagine158 e 159 di Tradizione e modernità a Tonara. Nel primo punto si legge: L’abuso del bere è straordinario, perché la piaga dell’alcolismo infuria come una tormenta, rovinando sensibilmente le famiglie in cui anche la donna è complice di tanto delitto, fino ad alcolizzare il proprio bambino fin dalla nascita. Nel secondo punto si riporta quanto segue: Siccome le cifre sono più eloquenti dei discorsi, ecco il risultato di una inchiesta da me fatta su 44 alunni della mia prima classe, dai sei ai dieci anni d’età, circa il vino che essi bevono ad ogni pasto:

1)      Dieci alunni si dichiarano astemi

2)      Quattro alunni bevono mezzo bicchiere di vino

3)      Otto alunni bevono un bicchiere di vino

4)      Dodici alunni bevono due bicchieri di vino

5)      Quattro alunni bevono tre bicchieri di vino

6)      Due alunni bevono quattro bicchieri di vino

7)      Due alunni bevono cinque bicchieri di vino

8)      Due alunni bevono sette bicchieri di vino

 

Sesto passaggio: Processione come segno di riconciliazione

   Terra da sogni incubi, traversati di quando in quando da quel colorato fiume che straripa di chiesa, scorre tra casa e alberi in lenta salmodia, non ha foce e non ha mare, ritorna alla sua sorgente che odora di cera d’incenso: la sola ora che le due anime discordi cantano dolcemente insieme.

   Terra de isos agitaos, atraessaos onnia tantu dae cussu erriu colorau chi n’essidi abundante dae cresia, passada in mesu de is omos e de is matas in cantigu lentu, non tenede foge ne essida a mare e torrada da inue n’este essiu in mesu de sa chera e de s’incensu. Solu in cust’ora i duos iginaos cantant de acordiu.

   Nota: Erriu colorau sta per processione in costume.

Settimo passaggio: Difesa estrema della proprietà terriera

   Dopo tornan rivali; rivali anche i loro cani. Entrare gli uni nel campo dell’altro è sfida e rischio di morte; arma i sottilissimi stili.

   Appustis torrant a brigare; e su matessiu faent is canes. Intrare in s’agnenu est meda perigulosu; s’arriscant istochigiadas.

Ottavo passaggio: Rivalità in amore. Notte di Natale nel sangue.

   La notte di Natale, pochi momenti prima che nascesse il Bambino e dopo le danze e il vino e i liquori e l’acquardente e una rissa grande per Serafina - Serafina Marchiadoro – entrò in chiesa trafelato, inseguito come un daino, il più agile dei danzatori; il quale era pazzo di Serafina, e lei di lui. Altri erano pazzi di Serafina, altre di Sebastiano, di Sebastiano Mulinello.

   Sa notte de Nadale, mamentos inanti de sa naschimenta de su figiu de Deu e apustis de is ballos, su inu, is licores, s’abbardente e una briga manna po Serafina, Serafina Marchiadoro, est imucau in cresia assupau, curtu comente unu dainu, su prus lestru de is balladores; innamorau perdiu de Serafina, e issa de issu. Ateros fiant innamoraos de Serafina, ateras de Trebestianu, de Trebestianu Mulinello.

   Marchiadoro e Mulinello sono cognomi immaginari.

   Inseguito e inseguitori erano, ora, in ginocchio incantati come bambini a guardare un palloncino veneziano, la stella d’Oriente, che, per tramite di fili, viaggiava a lente tappe verso il presepio dell’altare.

   Agrediu e agressores fiant, como, imenugaos e ispantaos comente is pipios a castiare unu palloneddu venetzianu, chi, po mesu de ispaos, viaggiada abellu abellu cara su nitzu de s’artare.

   All’improvviso fuori scoppiarono le fucilate, e le campane gridarono che era nato il Bambino. E i cani abbaiavano in coro sì che sembrava una grande caccia, o anche un allarme per un’incursione di demoni saraceni, o per un incendio nelle foreste, le più belle del mondo, quelle di Villagrande.

   Tott’ind’una, iforas, is isparos de is fusiles e su sonu de is campanas ant annunciau ca fiada naschiu su figiu de Deu. E is canes appeddaiant tottus in paris tantu de parrere d’esse a una cassa manna, o (de intennere) s’aggitoriu po un’invasione de tiaulos saracenos o po unu fogu istupau in is forestas de Idda manna, is prus bellas de su munnu.

   Nota: Veramente maestose le foreste di Villagrande!

   Ma dentro, al calore animale, la gente cantava: il cantico era antichissimo dei tempi d’Ospitone, re dei Barbaricini: un neonato figlio di re partorito in una stalla era nudo e intirizzito.

   Ma aintro, in su calore animale, sa gente cantaiada: su cantigu fiada meda antigu de is tempos de Ospitone, re de is Barbaricinos: una creatura figia ‘e re, partoria in d’una istadda, fiada ispoggiada e morta ‘e frittu.

   Sebastiano sentiva sopra di sé tutto quel freddo dell’ultimo dicembre, soltanto lui, lui solo: e tentava di riscaldarsi cantando con tutti quanti: e non poteva e non comprendeva per quale incantesimo, per quale arcano la parola gli mancasse con la voce. Non comprendeva neppure, come disse a un tratto a un suo vicino, che cosa fosse quell’andare di notte con altra gente sulla neve. L’altro gli rispose: “Mulinello, Mulinello, il vino fa anche quello”.

   Trebestianu intenniada in pitzu suo tottu cussu frittu de s’urtimu mese ‘e s’annu, solu issu, issu ebbia: e provaiada a si caentare cantanno cun tottu is ateros: e non n’arrennesiada e non cumprenniada po cale incantesimu, po cale motivu d’esse benia a mancare sa oge. Non cumprenniada nemmancu, chistionanno a unu certu puntu cun d’unu chi ddi fudi accanta, ite ligaiada cuss’annare adenotte cun atera gente in su nie. S’ateru d’ada arrespostu: “Mulinello, Mulinello, su inu fae fintze cussu”.

   Poco dopo Sebastiano s’accasciò senza un gemito: il vicino s’abbassò, lo toccò: trovò sangue e ghiaccio: gridò che Sebastiano era morto. E quel grido fece morire il canto.

…Pagu apustis Trebestianu est orruttu a terra chentza mancu tzunchiare. Su chi di fudi accanta s’este frittiu, dda toccau, hada agatau samene e marcoriu e ha tzerriau ca Trebestianu fia mortu. E cussu tzerriu ha fattu cessare su cantu.

   E le donne si misero a piangere il più bello e il più agile dei danzatori, che era finito così: senza dolore, senza rancore, senza sapere che uno dei rivali, poco prima, nella rissa o nella corsa, lo aveva trafitto alle spalle.

   E is feminas si funti postas a pragnere su prus bellu e su prus abile de is balladores. Aiada cessau de bivere esai: chenza dolore, chenza odiu e chentza ischire ca unu de is inimigos, pagu prima, in sa briga o in sa currella, d’aiada infrissau a palas.

Nino Mura

   Oristano, li 5 maggio 2021.